La cantautrice americana Cat Power torna l’8 luglio nella capitale, ospite dell’Auditorium Parco della Musica per presentare i brani del suo ultimo album, Sun che si distingue dalla produzione precedente per un sound decisamente più elettronico.
Artista: Cat Power
Dove: Auditorium Parco della Musica, Roma
Quando: lunedì 8 luglio 2013
Info:
Ascolta:
Ruin (live @ Auditorium, 8/7/13)
In un’umida serata di luglio l’Auditorium Parco della Musica ospita un concerto che, almeno a un primo impatto, di ordinario sembra avere ben poco. Riflettendoci un attimo però, ci si rende conto che in fondo si sta parlando di Chan Marshall, in arte Cat Power, e che quindi l’imponderabile è sempre dietro l’angolo.
Le premesse non sembrano essere delle migliori: il soundcheck termina con grande ritardo a causa della forte pioggia del pomeriggio e l’apertura dei cancelli viene rinviata di un’ora. Per recuperare un po’ del tempo perduto, il bravo Scott Matthew viene spedito sul palco con la cavea ancora semivuota: propone alcuni grandi classici rivisitati con il suo ukulele e riceve applausi in maniera sempre crescente, man mano che il pubblico riempie le gradinate.
Al termine della sua esibizione, la cantautrice statunitense prende il posto sul palco, preceduta di qualche minuto dalla sua band. Apre il concerto una versione lenta e terribilmente tetra di The Greatest.
Cherokee è il primo pezzo presentato dell’ultimo album, Sun (Matador Records, 2012), seguito immediatamente dalla elettrica Silent Machine, e dalla psichedelica ripetitività di Manhattan, con la quale Cat ipnotizza i presenti attraverso la sua voce e i suoi ululati. Non smentisce la sua fama di artista inquieta, mostrando sul palco una camminata alquanto bizzarra e costringendo un tecnico ad inseguirla di continuo per spostare le aste e i cavi dei due microfoni utilizzati.
Un primo indizio di come si evolverà la serata lo si ottiene dalla brusca interruzione del brano 3, 6, 9 richiesta dall’artista ai musicisti che la accompagnano. Il tempo di eseguire un altro pezzo, Nothin but time, ed ecco che la fragile Cat crolla definitivamente a causa di un suono che non la soddisfa e che a suo giudizio evidentemente non le permette di continuare. A nulla servono gli incoraggiamenti a proseguire lo show da parte dello staff, né possono cambiare qualcosa gli applausi ritmati e il sostegno dei fan più affezionati: Chan Marshall prima prova a spiegare la natura del problema che avverte, poi, come stizzita per l’insistenza del pubblico, dice “I’m here to fucking cook, not to give you rice”, come a rivendicare la sua essenza di artista e non di mera esecutrice, e scende nervosamente dal palco per rifugiarsi nel suo camerino.
I venti minuti che seguono servono a dividere ulteriormente il pubblico: c’è chi continua ad applaudire, chi fischia, chi insulta volgarmente e chi abbandona la cavea. Quelli che restano, resistendo alla noia e al sonno, hanno la possibilità di assistere a un gran finale di concerto, carico di pathos e di impressioni positive. Chan rientra in scena come se nulla fosse e regala al pubblico altre quattro eccezionali interpretazioni.
Si comincia con Metal Heart, al termine della quale la cantautrice statunitense si scusa esplicitamente con i presenti per il suo sfogo precedente. Segue una bellissima cover, Shivers, durante la quale più volte l’artista si mostra non ancora del tutto tranquilla per ciò che riguarda la qualità del suono, spostandosi scrupolosamente in diversi punti del palco e apportando modifiche al lavoro dei fonici. Quindi, arriva il momento di Peace And Love e di un’interminabile esecuzione di Ruin, durante la quale Cat distribuisce magliette e fiori in gran quantità alle centinaia di persone che hanno abbandonato i rispettivi posti a sedere per occupare l’area immediatamente antistante al palco.
Così termina una serata che, per quanto conclusa positivamente e senza intaccare il valore assoluto dell’artista, lascia un po’ di amaro in bocca; e il tutto senza sapere a chi imputare questa spiacevole sensazione. Conoscendo il personaggio, era lecito attendersi qualche sorpresa.