Semplicemente geniale. Non a caso Lagarce è il secondo autore teatrale più rappresentato in Francia dopo Molière. Quasi sembrano non esserci parole per spiegare il folle, ma nello stesso tempo semplice, linguaggio di Lagarce. Perfino Valentino Villa (che ha rivisitato la pièce Music-Hall e si è anche occupato della scenografia, appositamente decadente nella sua trascuratezza) annuncia al pubblico di Rai Radio 3 di non essere molto bravo con le parole. Il suo biascicare incerto, un flusso quasi bloccato da una chissà quale forza invisibile, viene definito -a ragione- da Gioia Costa (colei che ha tradotto il testo dal francese all’italiano) lagarciano. Peculiare. Basti pensare che alla prima traduzione del testo, evidentemente troppo corretta dal punto di vista linguistico, ne è dovuta necessariamente seguire una più sgrammaticata.
Dopo l’introduzione esplicativa, la prima italiana di Music-hall ha inizio con la timida e graduale entrata della vedette (interpretata da una straordinariamente istrionica Daria Deflorian), attraverso un’installazione quasi velata di stelle che la separa dal pubblico, palesandone dapprima solo la voce. I suoi movimenti sono lenti come se il suo trascinarsi stanco tra piccoli teatri-bettole di periferia avesse generato attorno a lei una misteriosa patina aurea, in grado di proteggere la sua sensibilità artistica dall’ignoranza di un pubblico che mangia a sbafo e beve birra, quasi infastidito dal rumore di sottofondo. Ma una volta rischiarata la sua immagine dalle luci, la vedette non rinuncia di certo alla sua entrata trionfale, imponendo al pubblico la sua figura esile, avvolta da un abito nero in lurex color oro. E così, lenta e disinvolta, si fa strada nella penombra del palco.
Il linguaggio della vedette è frammentario, caratterizzato da un incerto e colloquiale intercalare (Beh, insomma..) e la sintassi si presenta apparentemente scollegata e ricca di vuoti riempiti dall’immaginazione dello spettatore. La particolarità e l’innovazione di tale linguaggio è la sua apparente semplicità lessicale e sintattica – come se a parlare fosse un bambino alla scoperta del mondo – che fa filtrare, come una ragnatela, significati sottili e profondi sul teatro e sulla vita in generale. E tra un chi può il più, chi può il meno, una balbuzie solo apparentemente involontaria, la protagonista comincia a raccontarsi in maniera meccanica, paranoica.
Pur cambiando lo spazio fisico, cioè il teatro dove si esibiscono, le entrate in scena sue e dei 2 boys che la accompagnano assumono la stessa regale dignità ogni singola volta, nonostante i viaggi disagevoli e le accoglienze non proprio “felici”. Entrata ai lati…ops ma la porta al lato qui non c’è; non importa, si continua a camminare sempre con regale dignità lenti e disinvolti…e anche se il palco è già finito qui, si prosegue ad avanzare verso lo sgabello…quello stesso sgabello per cui la ragazza si batte, con cieca e quasi patetica ostinazione, affinché vada in scena anche lui, rivendicandone un insensato diritto di proprietà.
Quell’oggetto, che non ha alcun apparente valore, in realtà è il simbolo della resistenza del Teatro e dell’ instancabile lotta a difesa degli ideali che esso propone. E quei due boys (i bravissimi Marco Angelilli e Diego Ribon), piazzati ai lati fuori dal palco sin dall’inizio, stravaccati su dei tavoli rovesciati, tentano di ricostruire LA storia, nascondendosi dietro ai loro rassicuranti leggii. La storia, in realtà, non esiste: è tentativo di ricostruirla e diventare storia. I boys scivolano con la fantasia nell’assurdo, intonando motivetti improvvisati, e volteggiando come goffi fenicotteri sotto lo sguardo di commiserevole disapprovazione della vedette, nostalgica dei tempi in cui la messa in gioco teatrale dava realmente soddisfazioni. La vedette e il suo sgabello sono il simbolo di tutta un’umanità antieroica che combatte quotidianamente contro i suoi mulini a vento e, soprattutto, della rinascita di quell’arte con la A maiuscola, che comporta sacrificio, frustrazione e viaggi disagevoli per una fama mai riconosciuta. Per fortuna, nonostante tutto, essi rimarranno inchiodati per sempre sui palchi di quei teatri malmessi.
Rai Radio 3 “il Teatro in diretta” e Face à Face
in collaborazione con l’Istituto francese di cultura presentano
MUSIC-HALL
Di Jean-Luc Lagarce
Traduzione Gioia Costa
Con Marco Angelilli (Il Primo Boy), Daria Deflorian (La Ragazza) e Diego Ribon (Il Secondo Boy)
A cura di Valentino Villa
24 aprile 2012, Auditorium Rai Radio 3, ore21:00