1° Maggio: C’ERA UNA VOLTA LA SODDISFAZIONE (E LA FOTOGRAFIA LO DIMOSTRA)

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foto L’ortolano Amerigo Lippi con tre colleghi davanti al proprio negozio, USA, New York, 1898. Archivio della fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana.

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Prima dello scoppio del dibattito intorno al suo statuto artistico, agli inizi della sua scoperta e delle sue applicazioni, la fotografia nasce come strumento di rappresentazione e fissazione delle immagini, configurandosi dunque in primo luogo come testimonianza.

Il lavoro è stato ampiamente rappresentato in fotografia: personalità come Lewis Hine e Richard Beard hanno realizzato delle serie fotografiche sul tema, mettendo in luce lo sfruttamento e le condizioni disumane a cui i lavoratori erano sottoposti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

A volte, però, il sudore, l’impegno e il sacrificio possono essere premiati. È difficile da credere, soprattutto considerando l’attuale clima di disoccupazione, lavori impossibili da trovare, stipendi inesistenti e tempi determinati.

Eppure in passato il lavoro davvero nobilitava l’uomo. Esistono diverse fotografie, più o meno dello stesso periodo storico in cui si muovevano Hine e Beard, che mostrano i risultati di tanta dedizione. Emblematico in tal senso è il materiale fotografico comprendente immagini di emigranti italiani che costruirono in America una piccola fortuna attraverso il lavoro e lo sviluppo di un mestiere. È documentato che molti italiani lavoravano alla costruzione della metropolitana, all’attività ittica per conto dei padroni – in particolar modo napoletani e siciliani -, che altri erano impiegati nella coltivazione e nella raccolta di prodotti agricoli e nella produzione tessile, mentre altri ancora lavoravano per strada come shoeshine – lustrascarpe – o venditori ambulanti; ma c’era anche chi era riuscito a creare un’attività che conduceva in proprio e che elevava notevolmente il suo status. Essi erano anche economicamente in grado di pagare un fotografo e commissionargli delle fotografie, che talvolta venivano allegate alle lettere da mandare ai parenti rimasti nella madrepatria: queste erano importanti testimonianze del loro successo, li rendevano esemplari ai loro occhi e rappresentavano la prosperità dell’America.

La foto che correda l’articolo, scattata in USA nel 1898, mostra un ortolano italiano davanti al suo negozio. Osservandola con attenzione, essa ci mostra molto più di quanto potrebbe emergere ad una prima, superficiale visione: gli elementi compositivi concorrono tutti alla formazione di un’idea di realizzazione personale, che il lavoratore “arrivato”, il self–made man, voleva appunto trasmettere. E’ una fotografia in cui il soggetto principale è in primo piano rispetto agli altri; la zona pare abbastanza sviluppata a livello commerciale, come dimostrano le insegne dei negozi catturate sullo sfondo, e non sembra essere un caso che l’ortolano abbia voluto farsi fotografare in un ambiente così dinamico. Egli guarda verso l’alto con espressione soddisfatta, quasi ad esprimere una tensione e una volontà di elevarsi, e posa con le maniche rimboccate, che anche nell’immaginario comune sono chiaro segno di un’intensa attività lavorativa. Uno dei tre personaggi, quello sulla sinistra, pare guardarlo con un certo rispetto, e ci si potrebbe chiedere se tale espressione sia stata spontanea, voluta dal fotografo o, perché no, dall’ortolano stesso.  In basso a sinistra è poggiato anche un cappello, il tipo di cappello usato a quel tempo dagli uomini considerati rispettabili, e che potrebbe essere indice dello status del soggetto.

La testimonianza della fotografia è strumento per non dimenticare, in particolare in una giornata come quella del Primo Maggio che intende ricordare l’impegno del movimento sindacale e i traguardi raggiunti in campo economico e sociale dai lavoratori. “Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l’interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de’ sensi; e un’accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive dell’avvenire, naturalmente è portata a quell’esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa“. – Ettore Ciccotti, membro della Camera dei Deputati e senatore, 1863-939 -.

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