Paese: Italia
Anno: 201
Durata: 76′
Regia: Paolo e Vittorio Tavia
Sceneggiatura: Paolo e Vittorio Tavian
Produzione: Kaos Cinematografica, Rai Cine
Distribuzione: Sacher Distribuzion
Montaggio: Roberto Perpignan
Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
Interpreti: Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, J. Dario Bonetti, Vincenzo Gallo
Entrare nel vivo della realizzazione di una messa in scena teatrale, sfruttando, a livello cinematografico, gli spazi angusti del carcere di Rebibbia. Dare maggior corporeità a una rilettura di una delle opere più difficili di William Shakespeare, Giulio Cesare, ricca di un profondo senso realistico grazie alla splendida recitazione dei carcerati, che usano il loro dialetto per interpretare i propri personaggi. All’estero non può che essere stata una meravigliosa sorpresa questa nuova opera girata da due signori, fratelli, di San Miniato, un paese collocato tra le colline della provincia di Pisa, tant’è che hanno ricevuto l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, premio che in Italia mancava dal 1991.
A 81 e 83 anni, Paolo e Vittorio Taviani realizzano Cesare deve morire. Un lavoro che non si limita a mostrare la nascita sul palcoscenico di uno spettacolo teatrale, ma che riesce a uscire da certi possibili confini. Il rischio di poter diventare banali e di tirar su un qualcosa di già visto è stato alto, ma il risultato finale è stato, al contrario, una visione spiazzante e profonda del dramma shakesperiano. E’ come se il loro sguardo non abbia voluto semplicemente dimostrare che chi è costretto a scontare le proprie pene in carcere per molti anni abbia delle doti che avrebbe potuto sfruttare nella propria vita, cosa che uno di loro, una volta fuori, riesce poi a fare (Salvatore Striano). Essi vanno oltre, tanto da riuscire a scuotere le singole e complesse personalità di quei detenuti. Non a caso, durante l’interpretazione dell’opera shakesperiana, che qui è stata perfettamente costruita in funzione dell’occhio della macchina da presa, c’è spazio per l’affioramento di alcuni contrasti, anche in senso fisico, tra i singoli carcerati oppure tra un detenuto e il suo passato. Tali scontri nascono proprio dalle battute presenti nel Giulio Cesare, a dimostrazione di quanto l’opera di Shakespeare sia molto vicina ai sentimenti delle persone e di quanto il lavoro di sceneggiatura sia stato attentamente curato nei minimi particolari. Non è stato, dunque, un semplice registrare dell’atmosfera teatrale, ma c’è tantissimo spazio per l’umanità di ogni interprete, elemento decisamente percepibile anche grazie a molte inquadrature dedicate proprio agli angoli più intimi e vicini delle loro vite in galera. Il dramma, infatti, si snoda attraverso i cortili, le finestre, i corridoi, le grate, ma anche attraverso le singole celle.
Una costruzione davvero memorabile e unica nel suo genere. E questi aggettivi valgono soprattutto per la tensione che, in determinate scene, la musica riesce a sottolineare. Oltretutto, il nostro sguardo è deliziato da una fotografia molto corposa. Se il film riesce a essere così fortemente d’impatto, parte del merito va sicuramente attribuito al contrasto che c’è tra le immagini a colori, più vicine alla realizzazione sul palcoscenico, e quelle in bianco e nero, fatte appositamente per esaltare i volti e i fisici straordinariamente espressivi degli attori, ma anche per marcare il dramma shakesperiano che si consuma tra le mura di Rebibbia. Un bianco e nero autentico, senza pallidi grigi, eccezionalmente contrastato tra le zone di luce e le zone d’ombra, tanto da far sembrare i primi piani scolpiti. Ritratti di uomini fuori dal comune, con delle facce che rimangono impresse e ci lasciano un profondo segno dentro di noi. L’aspetto materico delle singole inquadrature diventa, senza alcun dubbio, il fiore all’occhiello di questo capolavoro.
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