Dall’11 gennaio al 10 febbraio 2013, nella prima sala della galleria di Villa Medici sarà esposta la mostra personale di Dahn Vo intitolata Chung ga opla, un insieme di cinque opere e muri disegnati/scritti. La mostra costituisce la seconda tappa di un percorso incentrato sul tema dell’Accademia.
Titolo: Chung ga opla (Eufs au plat/Uova al tegamino)
Opere: Eggs Sunny Side Up (2012), Passport (2010), Byebye (2010), 2.2.1861 (2012), Fabulous Muscles (2012)
a cura di: Alessandro Rabottini
@ Académie de France à Rome, Villa Medici
fino al 10 febbraio 2013
Si entra nella prima sala della galleria di Villa Medici e si rimane inevitabilmente colpiti. Le quattro pareti sono state “imbrattate” di disegni e scritte che arrivano, in altezza, a metà della sala contrastando inesorabilmente con la restante bianchezza dei muri. Due linee, abbastanza precise, di color giallo e rosso dividono il mondo policromatico delle citazioni e dei disegni, quasi primordiali, da quello del candore quasi ascetico del resto della sala. Tuttavia, non siamo nelle grotte di Lascaux. Quei disegni sono frutto di una performance che ha coinvolto gli otto piccoli nipoti di Dahn Vo, artista vietnamita emigrato all’età di quattro anni in Danimarca.
Soltanto ora ci accorgiamo che su tre pareti sono presenti quattro cornici con quattro opere differenti dell’artista. Una di queste è 2.2.1861, ovvero la copia a mano realizzata dal padre di Dahn Vo dell’ultima lettera che il missionario cattolico T. Vénard ha inviato al padre prima di essere condannato a morte in Vietnam. Il padre di Dahn Vo non conosce il francese, ma ha riscritto la lettera perfettamente. Nel materiale stampa Rabottini afferma: «quest’oscillazione tra linguaggio e senso è ulteriormente rafforzata dal fatto che il Vietnam sia stato l’unico paese asiatico che, durante il colonialismo francese, abbia convertito il proprio lessico in alfabeto latino». Vicino alla lettera troviamo Byebye, una foto dello stesso Vénard in compagnia di altri preti. Nella parete accanto vediamo, invece, la foto del primo passaporto dell’artista: Passport.
Torniamo ai muri per notare come la creatività dei bambini, espressa attraverso facce giganti, stelle e curve contrasti irrimediabilmente con l’ultima opera, Fabulous Muscles, una serie di buste del Museum Store della Statua della Libertà di New York laminate in foglia d’oro, su cui il padre dell’artista ha scritto continuamente, in rosso, le parole Sweet Oblivion. La serialità dei due gesti interni all’opera è simile a quella mediante la quale i bambini hanno ripetuto sui muri tre citazioni: una di Cioran, una di Artaud e una di Bowie.
In particolare, la citazione di quest’ultimo, «Time – He flexes like a whore», si ripete su due pareti cogliendo la possibilità del tempo di coniugarsi in un istante che coinvolga il futuro e il passato, intesi come mo(vi)menti sinuosi e paralleli. La sala è, infatti, un cortocircuito temporale in cui l’alba si confonde con il tramonto – la raffigurazione di un sole che emerge o s’immerge nell’acqua ci fa pensare ciò – chiedendoci l’atto di un’interpretazione che scansioni e distacchi i due attimi, congiunti nella mente dello spettatore, in un unicum. Il tempo è una sorta di pietoso regnante disponibile nei confronti delle nostre proposte e delle nostre offerte.
Otto nomi, tra cui quelli di Luna, Livia, Jacob campeggiano sulle quattro mura quasi a rivendicare una certa autorialità nella scrittura e nel disegno. Il nome NOAH sembra celebrare la sala come un’arca temporale in cui si condensano la ripetizione e la creatività in un conscio futuropresentepassato.
E’ ora di abbassare lo sguardo. Porporina rossa e blu è sparsa a terra lungo le pareti. Attrae l’occhio e lo distacca dalle pareti lasciando quasi uno spazio d’azione allo spettatore, il quale potrebbe spargerla per la stanza e donare a essa un senso personale, che altrimenti è presente solo nella sua muta mancanza.
Un uomo stecchino confinato nell’angolo di due pareti si chiede: «What’s That?» Sotto di esso viene riportata la più semplice delle addizioni, 1+1=2. Per Dahn Vo, l’opera Chung ga opla è una continua addizione di stratificazioni temporali che ci assorbono in una visione, contemporaneamente, inquieta e inquietante. 1+1=3.
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