“Cos’è la Chiesa?”. Al di là di ogni considerazione di carattere ermeneutico, di ogni analisi storico-religiosa, al di là anche dei corposi capitoli centrali e del tentativo di ricondurre ad un unico principio Agostino e Kant, Paolo e Tommaso, è proprio questo quesito che con la propria ossessiva presenza mi sembra informi l’ultimo saggio -sempre che tale lo si possa definire- di Mancuso.
La radicale risposta è tutta nel titolo, ed è davvero massimamente paradossale. Della paradossalità propria di tutto ciò che è e rimarrà sempre indisponibile, gratuito, puramente ricevuto. La risposta, dicevo, spinge la riflessione in due direzioni opposte, apparentemente inconciliabili: non ci può essere alcuna struttura di mediazione tra il singolo e Dio, non ci può essere gradazione nella scala della filialità, eppure l’uomo non si salva se non nelle relazioni, se non in un lavoro comune, in un compito che solo l’umanità può portare a termine. La Chiesa deve quindi essere la comunità nella accezione più inclusiva, più onnicomprensiva, finanche più generica possibile.
Ovvero niente di più lontano dal percorso storico che la Chiesa ha compiuto, intriso di settarismo, arroccato a difesa di un’identità definita da un set di credenze, e quindi un’identità delimitata in primis dalla contrapposizione dottrinale che subito si risolve in un irresistibile senso di esclusività. Tuttavia anche in questa dinamica si scorge il tentativo, perverso e capovolto, di realizzazione dell’ideale cui tende ogni forma di religiosità, diversamente declinata nelle numerose religioni storiche, eppur unica e fondamentale: considerare il Bene non come un mero ideale regolativo, un’ipotesi asintotica e presunta, ma come un ente pienamente condivisibile, faro d’ogni azione qui e ora, tesoro per l’umanità che l’umanità stessa faticosamente contribuisce ad accrescere. Questo è l’unico modo per riconoscere il gap di moralità tra l’Uomo e il Mondo senza farsi pezzi di Mondo, senza concedersi alla logica strutturale della sopraffazione dell’ingiusto sul giusto.
In conclusione, un’indicazione al Lettore: non è, quello di Mancuso, un testo da leggere con la rassicurante calma del dotto, ovvero, per citare Heidegger, con quel senso del poi, fin troppo facile e pernicioso, proprio di tutti coloro che arrivano in ritardo. È invece una lacerante meditazione sul destino e sull’essenza dell’esser uomini, che è certo costellata (come potrebbe non esserlo?) di infiniti ritorni, infiniti ripensamenti, infinite aporie.
IO E DIO. UNA GUIDA DEI PERPLESSI
Autore Vito Mancuso
Editrice Garzanti, Milano, 2011
foto Cristo Morto, Andrea Mantegna, tempera su tela, 1475-1478 ca, Pinacoteca di Brera, Milano