Roberto Latini, autore, attore e regista, è direttore artistico di Fortebraccio Teatro, compagnia teatrale con sede amministrativa a Bologna. Sul teatro di Latini, la giornalista e scrittrice Katia Ippaso ha curato il volume Io sono un’attrice. I teatri di Roberto Latini, pubblicato da Editoria e Spettacolo. Fra le produzioni più recenti della compagnia Fortebraccio Teatro, ricordiamo l’Ubu Roi di Alfred Jarry, Noosfera Titanic, Noosfera Lucignolo, Iago.
Roberto Latini: Il mio primo spettacolo è stato nel ’92: sono vent’anni. E in vent’anni io credo di aver soltanto proseguito, di non aver mai ricominciato. Ho soltanto proseguito dal primo movimento, dalla prima messa in moto. Questo procedere di anni, in realtà, mi ha portato a conquistare una cosa, ed è che io mi sento anche dentro a una responsabilità, che è quella della libertà. Penso di essermi conquistato la libertà di proporre quello che voglio e non quello che dovrei, non quello che sarebbe utile e neanche quello che il mercato (che non c’è, ma che noi presumiamo ci sia) potrebbe aspettarsi da me, o da noi. Dentro questa libertà, la parola che trovo appena lì, nei pressi, è responsabilità. Perché credo che sia questo che fa, chi va in scena: si prende una responsabilità.
Sento l’esigenza di conoscere la storia personale di Roberto Latini nel teatro, dai suoi primi passi, alla costituzione della compagnia Fortebraccio Teatro, fino al recente abbandono della direzione artistica del Teatro San Martino di Bologna. Gli chiedo di raccontare. E Roberto Latini racconta, con una semplicità che accarezza.Parla di sé, è vero. Ma fa di se stesso un tramite per raccontare anche di altri, delle persone che hanno condiviso la sua vita nel teatro e anche oltre il teatro: alcune di queste persone sono tuttora con lui. Sa che non potrà non romanzare un po’, raccontando vent’anni di vita. Esplorerà comunque una delle infinite versioni di tessitura, che fanno di una serie di ricordi una possibile storia. Una storia che ha radici nel passato, ma che nasce inevitabilmente dal qui ed ora. Il punto di inizio che sceglie è sfizioso. Siamo nel 1989.
RL: C’è stato un mio amico che, terminato il liceo e iscrittosi all’università, voleva uscire con una ragazza. Quando l’ha invitata, lei gli ha detto che avrebbe portato con sé due amiche. E lui ha detto che, allora, avrebbe portato due amici. Uno di questi due ero io. Avevo finito un lavoro, un venerdì. Era stato un contratto di sei mesi dentro un ufficio amministrativo qualsiasi, che non aveva niente a che fare nemmeno con il mio liceo classico. Però – siccome l’Italia è fatta di questi zii che ti dicono che, se non vai subito a prenderti quel posto, sembra che il mondo finisca… – mi ero preso questo posto. Scaduto il contratto il venerdì, il sabato esco con il mio amico e quella sera una delle due ragazze dice che faceva una scuola di teatro. A diciannove anni io non avevo mai pensato che esistessero scuole di teatro. Te lo giuro. Mai saputo, mai pensato. Ero stato a teatro due volte in vita mia, con la scuola. Al Tasso [di Roma]si andava a teatro con una professoressa, ma io non ci sono quasi mai stato. Una volta ero andato al Quirino, mi ricordo – ho poi ricostruito -, a vedere La Scuola delle Mogli di Gastone Moschin, che poveretto aveva interrotto tre volte lo spettacolo quella mattina per il casino che si faceva. Io facevo casino… Quindi non ci pensavo proprio. Però quando questa ragazza m’ha detto, era l’una di notte di sabato, che c’era una scuola di teatro… Folgorazione! E sono stato poi la domenica ad aspettare che arrivasse il lunedì mattina. E sono andato a questa scuola. E, fatalità, sono arrivato alla scuola di Perla Peragallo. Senza avere idea di chi fosse. La mia fortuna, nel senso di destino, è stata di arrivare lì come decimo. C’erano già nove iscritti, cinque femmine e quattro maschi. Mancava solo un posto da assegnare. Quella mattina ci siamo presentati in due, io e tale Luciano. Lui aveva una trentina d’anni: Perla ha scelto i miei diciannove, non ha scelto me. Ha scelto i miei diciannove anni.
Così sono stato dentro, poi, per tutto il corso e quella scuola è stata per me fondamentale, ma fondamentale fondamentale, perché lì, a un certo punto, io ho avuto la sensazione di avere imparato qualcosa che non si può insegnare. Lo dico senza presunzione. Lo dico dando un merito all’insegnante, a Perla Peragallo, che è stata una donna meravigliosa, rispetto all’onestà, all’onestà dello stare in scena, e anche alla libertà che ha alimentato o che comunque ha in qualche modo sobillato, forse, o fatto intravedere agli iscritti. Ognuno di noi era completamente diverso, ognuno di noi stava sul palco in un modo suo. Dopo tre anni, questa condizione è importante. Noi eravamo costretti ogni mese a fare, di fronte a un pubblico, delle scene nostre: si chiamavano inventate. Erano cose di massimo dieci minuti che noi dovevamo scrivere, dando un titolo, e lei ci dava i voti come a scuola. Invitava attori e attrici di livello a darci dei voti. Usciva il quadro con le pagelle, proprio. Però, dopo tre anni di queste scene, io ormai avevo un modo, che era il mio.
Mi ero trovato di fronte a delle scelte, che mi avevano costretto a prendere decisioni. Perché metto questa scena dopo quest’altra o perché all’interno di questa scena scelgo questa cosa? Forse perché voglio farlo bello, voglio farlo brutto? Oppure no? Qual è la direttrice che hai? Poi nel ’92 ho fatto uno spettacolo insieme ad altri due ragazzi usciti dalla scuola, perché la condizione per avere il diploma era fare uno spettacolo prima della fine della scuola, all’interno del terzo anno. Prima ci era vietato anche mettere il naso fuori dalla porta. Ho fatto questo spettacolo a marzo del ’92, è stato il primo, e ho soltanto poi proseguito. Il primo spettacolo da solo, nel ’94, è stato anche il primo insieme a Gianluca Misiti, che è stato poi per me l’autore delle musiche sempre, ma è molto più che l’autore delle musiche, lui è autore di una drammaturgia dal punto di vista del suono, e non è solo un musicista, è un compositore. E da lì siamo diventati Fortebraccio Teatro, così.
Fotografia Laura Arlotti
leggi la II parte della CONVERSAZIONE CON ROBERTO LATINI
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