Promosso dal gruppo Under 25, ALL IN Festival è il nuovo palcoscenico per mettere in luce giovani artisti emergenti – il bando infatti era rivolto ai minori di 25 anni – e dargli spazio su importanti stage e nei musei capitolini. Tale progetto ha come primo obiettivo quello di sviluppare una collaborazione tra artisti e pubblico di una nuova generazione per favorire la promozione delle arti visive, audiovisive, del teatro, della danza, della musica e delle performance in genere.
• Couples, di Ilaria Perversi, 4’35”
• Chi vuoi che sia, di Davide Vigore, Riccardo Cannella, 31’11”
Official selection David di Donatello del 2014.
• FF, di Giulio Fiore, 6’56”
@ All In Festival, dal 26 al 31 maggio, Roma
Couples, di Ilaria Perversi, 4’35”
Il sentirsi parte di qualcosa è intrinseco all’esistenza di ogni essere vivente. Non importa che si tratti di una famiglia, di una coppia, di un branco, d’insiemi creati da personaggi provenienti da due mondi differenti, ad esempio animato e inanimato: l’importante è sentirsi completi.
Così capita che un uccellino s’innamori di una statua di un parco. Se ne innamora così tanto che cerca di conquistarla in tutti i modi, finché la sua indifferenza di pietra non lo fa volare via con il cuore spezzato. Abbiamo bisogno davvero di far parte di una coppia? E soprattutto gli oggetti inanimati sono insensibili all’affetto? Un’animazione molto semplice ma efficace, forse dalla sceneggiatura un po’ scontata, anche se poi l’amore, per quanto possa sembrare sempre la stessa cosa, non lo è affatto.
Andrea Palazzi: Visto che ALL IN ti ha dato la possibilità di mettere in luce il tuo talento, come pensi che ciò che fai, la tua arte – l’audiovisivo o il cinema in generale – possa essere il collante collaborativo tra artisti e pubblico – che poi è l’obiettivo primo di questo festival –?
Ilaria Perversi: Ho la fortuna di occuparmi di qualcosa che mi piace moltissimo, ovvero la realizzazione di prodotti video in animazione. È un lavoro bellissimo, ma molto complicato e soprattutto lungo. Per realizzare Couples, il cortometraggio con cui verrò presentata ad ALL IN, ho passato quasi sei mesi rinchiusa in una stanza con un computer. Sei mesi per realizzare quattro minuti di video. In questo lasso di tempo, rivedi il tuo lavoro così tante volte che alla fine quasi ti ritrovi ad odiarlo. Per questo per me la collaborazione del pubblico è così importante. Nel mio caso, arriva alla fine ed è il fine del prodotto stesso. Gli spettatori sono infatti l’unico metro di giudizio universale possibile per capire se ciò che abbiamo creato è interessante, fa divertire o suscitare un’emozione. È spaventoso, certo, perché non sai cosa aspettarti, ma è fondamentale per capire se ne è valsa la pena. Perché dopo sei mesi in una stanza, non lo sai più.
A.P.: Couples è sicuramente un’alternativa a molti dei corti animati che circolano in festival e in rete, tutti sullo stile pixar ormai. È stato interessante vedere che c’è ancora qualcuno che sceglie di fare le cose diversamente, più alla Rodari che alla J. K. Rowling. Quanto romanticismo c’è dietro Couples?
I.P.: Fortunatamente c’è tutta una tradizione europea da cui gli aspiranti animatori possono attingere per allontanarsi dall’immaginario un po’ standardizzato della Pixar. Couples è nato sotto l’influenza di Chomet e dell’animazione francese, ma mi stupisce constatare quanto in effetti sia stretto il collegamento che ha anche con Gianni Rodari. Infatti Couples prende vita da una filastrocca che Angelo Mozzillo, sceneggiatore del corto, scrisse quando era alle elementari. In poche rime, era riuscito ad esprimere l’impossibilità di una relazione e non volevo che quest’autenticità si perdesse dietro a stili d’animazione troppo elaborati. L’idea di Couples è sempre stata quella di voler mantenere intatto, anche graficamente, l’immaginario di quel bambino.
Chi vuoi che sia, di Davide Vigore, Riccardo Cannella, 31’11”
Massimo. Massima. Carla. Ognuno lo chiama come vuole, anche se è un uomo, anche se è una donna. Tutti i giorni fa la spesa a Ballarò, il mercato di Palermo, dove tutti lo/la conoscono. Questa è la storia di Massimo e Gino, i primi a volersi sposare tra persone dello stesso sesso. Massimo è una persona e sa bene chi è, ma, parole sue, non ha bisogno di definirsi, di inscatolarsi in dei limiti. Si veste da donna ma le donne dice che non si vestirebbero mai come lui. Gino sa bene chi è e vive la sua omosessualità in modo diverso, lui si definisce.
Lavorano insieme. Nel loro laboratorio producono borse e portafogli, e vivono insieme da 35 anni. Chi vuoi che sia racconta tutto il loro percorso, dal riconoscere se stessi al farsi riconoscere dagli altri, dai problemi con le famiglie al diventare, loro stessi, una famiglia. È una sorta di docufilm, caratterizzato da un’intervista continua, che affronta uno dei temi più sensibili al giorno d’oggi, ovvero l’integrazione, la libertà di sentirsi come si è, l’accettazione della diversità.
Andrea Palazzi: Visto che ALL IN ti ha dato la possibilità di mettere in luce il tuo talento, come pensi che ciò che fai, la tua arte – l’audiovisivo o il cinema in generale – possa essere il collante collaborativo tra artisti e pubblico – che poi è l’obiettivo primo di questo festival –?
Davide Vigore: Lo diventa in maniera sensoriale, in una restituzione di emozioni. Quando scrivo un film non penso mai al pubblico, penso a quello che voglio raccontare a quello che mi interessa, successivamente quando giro il film cerco di mettere quelle emozioni che mi hanno spinto nel scegliere il tema e realizzare il film; le stesse emozioni che spero mi vengano restituite al termine di ogni proiezione del film, se poi vengono anche portate a casa per me è il massimo. Il festival è una grande opportunità di confronto e incontro con il pubblico.
A.P.: Chi vuoi che sia tocca un tema molto delicato, che ancora oggi per molte persone resta un tabù. L’impressione che ho avuto osservando il tuo docufilm, perché questo credo che sia, è che in qualche modo i protagonisti del corto abbiano qualcosa a che fare con te. Come se avessi voluto omaggiarli, come a dire che la diversità esiste, anche a Palermo, anche a Ballarò, e non bisogna vergognarsi, perché anche un territorio ostile può essere conquistato. Cosa ci dici riguardo ciò?
D.V.: Il tema principale del film riguarda l’identità e la crisi della stessa. Sicuramente ho fatto un omaggio ai miei due protagonisti, ma in realtà mi ha spinto la curiosità verso loro. Io generalmente quando scrivo i miei film parto sempre da un personaggio che mi interessa e successivamente costruisco la narrazione. È anche vero che, come tu stesso dici, ho qualcosa a che fare con loro, più che altro per i temi che posso indagare tramite loro e la loro storia. Temi che mi interessano particolarmente come: la possibilità di non scegliere, la solitudine immersa nella folla, i legami affettivi complessi. Atri temi sono sicuramente la diversità e il rapporto tra individuo e contesto.
FF, di Giulio Fiore, 6’56”
Celerosi cronica, la malattia di chi vive in un tempo veloce, di chi ha un cervello talmente accelerato che cresce di 4 anni all’anno. Difficile da immaginare. Eppure in un mondo come quello in cui viviamo dove tutto sembra scorrere alla massima velocità esiste qualcuno che riesce ad essere ancora più veloce, così veloce da essere considerato malato, non capito, non accettato. Poi ad un tratto basta immaginare che non si sta andando veloci, che è il resto del mondo ad andare piano. Si cambia allora prospettiva, si cambia visuale, si riesce a trovare anche qualcuno di simile, con le stesse capacità, gli stessi problemi: si torna a vivere veramente. In fin dei conti un film si gusta vedendolo alla sua velocità normale, non in slow, né tantomeno in forward.
Eletto miglior Corto Drammatico/Sociale allo “Sguardi Film Festival Cles”, FF è un racconto intimo di tutti noi. È un inno alla normalità diversificata delle persone.
Andrea Palazzi: Visto che ALL IN ti ha dato la possibilità di mettere in luce il tuo talento, come pensi che ciò che fai, la tua arte – l’audiovisivo o il cinema in generale – possa essere il collante collaborativo tra artisti e pubblico – che poi è l’obiettivo primo di questo festival –?
Giulio Fiore: Penso che il cinema in senso lato non possa venire considerato senza prendere lo spettatore come parte integrante dell’esperienza cinematografica. È da Griffith e Méliès che il pubblico decide a tutti gli effetti come deve essere il cinema, decretandone o meno il successo. Questo rapporto in continua evoluzione si basa comunque sul giudizio dello spettatore, che corrobora o meno le intenzioni dell’autore, e contribuisce a trasformarne lo stile e l’approccio. Io da ventenne che carica i suoi corti su YouTube e li manda ai festival, se non avessi ottenuto dei riscontri positivi mi sarei subito chiesto cosa ci fosse che non andava, e perché il pubblico non li accogliesse favorevolmente. Allo stesso tempo però accolgo con gioia i feedback negativi come spunti per migliorarmi.
A.P.: Ho cercato di documentarmi il più possibile su questa malattia, la celerosi cronica, finché mi sono convinto che non esiste davvero. Probabilmente esiste nella mente delle persone creative, che riescono a vedere oltre, ad andare più veloci, anche se soltanto con l’immaginazione. La fantasia è la vera risoluzione ai problemi al giorno d’oggi e certamente FF ne è un chiaro esempio. Bella la similitudine tra la velocità del tempo e la diversità tra le persone. Probabilmente è vero, tra simili abbiamo un battito cardiaco “unisonante”. Giulio Fiore a che velocità sta andando invece?
G.F.: Io vado alla stessa velocità di tutti gli altri. Penso sia come percepiamo il mondo che cambia da persona a persona. C’è chi lo vede come una tavolozza di mille sfumature, o chi vede dietro ogni viso, dietro ogni incrocio di sguardi una storia da raccontare. E chi ancora vede solo un elenco di cose da fare prima di dichiarare conclusa la giornata. Con FF ho voluto mostrare allo spettatore con che filtro guardo io il mondo, lo stesso filtro che trasforma una rissa al bar in un incontro tra gladiatori, e un’ambulanza che passa in una gara tra la vita e la morte.