Crash, 100′, Gb/Can 1996,
Regia David Cronenberg,
Soggetto James Graham Ballard,
Sceneggiatura David Cronenberg,
Fotografia Peter Suschitzky,
Montaggio Ronald Sanders,
Musiche Howard Shore,
Interpreti James Spader (James Ballard), Deborah Unger (Catherine Ballard), Elias Koteas (Vaughan), Rosanna Arquette (Gabrielle), Holly Hunter (Hellen Remington).
«La violenza meccanica del trauma libererebbe dunque una quantità di eccitamento sessuale che, mancando l’angoscia preparatoria, ha un effetto traumatico...» Sigmund Freud.
Crash continua la ricerca di David Cronenberg sul binomio corpo-macchina prendendo spunto dall’ononimo libro di James Ballard e trasformandolo in un vero e proprio saggio sulla sessualità.
James Spader – James Ballard nel film, proprio in omaggio allo scrittore – dopo un grave frontale entra in contatto con un gruppo di persone che ha una passione per gli incidenti automobilistici così forte da rimettere in scena i più famosi incidenti della storia, a scapito della loro stessa vita.
Una passione che sfocia nella perversione nel momento in cui il confine che separa l’eccitamento dello scontro d’auto si mischia indissolubilmente con l’erotismo carnale delle ferite dei corpi incidentati, trascinando così non solo Ballard, ma anche la moglie – Deborah Unger – nella ricerca di un eccitamento sfrenato che conduce fino al limite del pericolo mortale. Scontrarsi per incontrarsi, all’interno dei fiumi di cemento in cui il traffico aumenta, nella paranoia del protagonista, a dismisura: Ballard è incapace di elaborare il trauma di un incidente stradale e/o di una vita insoddisfatta fatta d’incontri occasionali con sconosciute.
Sesso che sotto lo sguardo vitreo di Cronenberg rinuncia a ogni lato di piacere per diventare un insoddisfacente mezzo che ha il compito di sfogare, come in un incidente, quell’energia traumatica trasformandola in eccesso pulsante, stridente e che accarezza i guard-rail sotto la guida nervosa e sensuale di Vaughan – Elias Koteas -, sciamanico profeta alla ricerca del connubio perfetto fra vita e morte nell’incidente perfetto.
I rapporti in macchina diventano rapporti con la macchina consumati sui sedili di pelle o nel contatto con le parti meccaniche di Gabrielle – Patricia Arquette -, che dopo un grave schianto è costretta a “indossare” protesi su tutto il corpo. Le differenze fra i due rapporti svaniscono così come i ruoli sessuali che spesso si mischiano nell’abusare l’uno dell’altro; il tutto alla ricerca di un epurazione traumatica della vita stessa.
Così come i saggi freudiani, il film di Cronenberg diventa un freddo quadro scientifico, dalla fotografia gelida e dalle musiche estranianti di Howard Shore che costruiscono una messa in scena asettica. Evitando, a ogni costo, qualsiasi emozione Crash compie una disanima fredda, chirurgica, in cui ogni sequenza diviene una torbida spirale di perversione che, anche nel simbolico finale, non lascia spazio per nessuna catarsi.
Una pietra miliare per un regista che ha fatto della sua carriera cinematografica un rigoroso bisturi insanguinato interessato a produrre il migliore taglio possibile.
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