Gone Girl, di D. Fincher, USA 2014, 145′
@ Festival Internazionale del Film di Roma
Amy – Rosamund Pike – è sparita e suo marito, Nick – Ben Affleck –, non ha idea di dove possa trovarsi. È stata assassinata? È stato lui a ucciderla? David Fincher trae spunto da uno dei più classici esempi di casi di cronaca nera per dirigere un film che lascia incuriositi fino alla fine.
Diviso idealmente in tre parti – la prima decisamente thriller, la seconda più vicina a una partita a scacchi, la terza ai limiti della commedia un po’ trash – Gone Girl è un mix di generi condito da tutta quella deriva mediatica che casi come quello su cui si basa questa sceneggiatura portano oramai inevitabilmente con sé. I media irrompono nel quotidiano, traggono giudizi “perfetti”, stilizzano i protagonisti della vicenda e chiedono aiuto a esperti del settore: senza ovviamente avere alle spalle una minima analisi di una certa caratura da validare. Il bello è che alla fine i protagonisti stanno al loro gioco, quasi divertendosi a farne parte in una sorta di processo d’inglobamento. Fincher, limitandosi a una caratterizzazione psicologica minima dei protagonisti, cerca d’imporre una certa superficialità sia dal punto di vista esterno alla coppia, attraverso la drammatizzazione spettacolare dell’evento, sia da quello interno – Nick – mediante l’interrogazione, il beneficio del dubbio.
Lo spettatore è sempre avanti nelle ricerche rispetto alla polizia poiché ha la possibilità prima di vedere, in flashback, e sentire, in voice over, Amy mentre scrive e legge il suo diario e poi di confrontare i due differenti piani d’azione su cui si basa la vicenda. Scisso all’inizio sul prender posizione, quasi immerso in una epochè morale nel prosieguo del film, egli comincia a conoscere i dettagli comportamentali della coppia, immergendosi completamente nelle sue aspirazioni sociali così come nelle sue rovine. Un cammino progressivo fino al rovesciamento della situazione che strappa il film in due parti dandogli un ritmo più compassato, da botta e risposta, nonostante una certa dose di pathos dettato dalla definizione di un quadro da teorema dell’assurdo.
Gone Girl, pur non avendo la forza delle sue opere di grido, s’incastra perfettamente nella filmografia di David Fincher, uno dei registi cult del cinema contemporaneo. Lo stile di regia è pulitissimo, senza fronzoli, al limite dell’asetticità, della pulizia maniacale della scena e, dunque, dell’immagine. Tra i due attori protagonisti spicca sicuramente Rosamund Pike, alle prese con il ruolo più difficile. Se nella prima parte, soprattutto per la difficoltà di arrivare a conclusioni certe nella vicenda, si ha l’idea di esser di fronte a un film molto vicino nello stile a Zodiac, nella seconda il film pende, con toni assolutamente differenti, tutto dalla parte di Se7en e del suo fondamento psicopatico che lascia quasi shockato lo spettatore.
Come il libro da cui è tratto il film: L’amore bugiardo, oppure l’amore bastardo.