Da questa parte (ovvero quello che manca)

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All’interno della rassegna Sguardi S-velati, lo spettacolo Da questa parte (ovvero quella che manca) è andato in scena al Teatro Due dal 16 al 18 ottobre, presentando un atto unico sul tema della follia e dell’amore.

 

Da questa parte (ovvero quella che manca)

Di: Emanuele Tirelli

Regia: Iolanda Salvato 

Con: Assia Favillo

Dopo il successo de L’incoronata , il drammaturgo Emanuele Tirelli e la regista Iolanda Salvato tornano insieme a teatro con lo spettacolo Da questa parte (ovvero quello che manca) affidato alla brillante interpretazione di Assia Favillo. Lo spettacolo entra nell’ambito della rassegna Sguardi s-velati: punti di vista al femminile , attualmente alla sua terza edizione.

Una musica dirompe con energia nel teatro, un video proiettato sulla scena presenta una donna, la donna che pochi minuti dopo, abbandonandosi a un frenetico monologo interiore lascerà intuire le sue storie.

Come una divinità, la donna si scinde in tre differenti caratteri, tutti estremamente attuali e condivisi. La prima è moglie tradita, la seconda è amante corrisposta, la terza è amante – non amata – terrorizzata dall’idea di passare la vita in una casa decadente, circondata da gatti affamati, perché «quelli lo sentono, quelli se ne accorgono subito. Lo sanno che stai da sola e vengono da te perché sanno che vuoi occuparti di qualcuno, che hai bisogno di occuparti di qualcuno, e quindi… ti occuperai di loro».

Due elementi avvicinano le tre donne: l’amore e la follia, binomio perfetto che le conduce alla nevrosi.

Un uomo, presentato come amorfo bambolotto gonfiabile privo di voce, manovra inconsapevole le tre condannate. Ma finirà con l’essere vittima delle azioni che ha compiuto da carnefice: condannato alla follia dal carattere moglie, a cui la perdita del figlio ha tolto l’ultima linfa vitale, finirà per essere scaraventato tra il pubblico, ormai privo di vita.

Le immagini proiettate assumono una fisionomia definita, accompagnando e frammentando la recitazione; sono rappresentazioni di ciò che si cela nel retroscena dell’essere umano, laddove la verità è vista come «un boccone troppo grosso, che va fatto a pezzi per poterlo digerire» . Perciò la verità va fuggita, allontanata, annientata dal rumore, nella speranza che quest’ultimo copra il pensiero che corrode l’anima.

Da questa parte è tutte le parti in cui le donne si dimenano, chi ferocemente chi con terrore. È la parte in cui la corsa non accompagna il passo, e il passo non riesce a trovare il suo ritmo. La follia si insinua nella quotidianità, e noncurante di ciò che la abita finisce per divenire essa stessa la norma: distrugge, lacera, corrode da dentro.

Ci si domanda cosa sia quello che manca, e come fare per procurarselo.

Forse, come dice la donna, «l’essere appagati ci fa sentire meno interessanti. Allora inciampo. Vado piano, piano, inciampo… per rallentare».

Quando si è rallentato a sufficienza, però, «le braccia non rispondono al comando, le gambe restano immobili, la bocca si muove… ma non si sente nemmeno una parola».

Questa profetica battuta di apertura si adatta perfettamente all’amara conclusione dello spettacolo: l’immobilità, la condanna, la vera fine.

 

 

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Redazione

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