Dal profondo ha vinto la sezione prospettive Doc all’ultimo Festival Internazionale del film di Roma ed è stato presentato al Cinema Aquila. La pellicola di Valentina Zucci Pedicini è un documentario elegante, che tramite tinte noir ed un’attenta sottolineatura dei dettagli, sa comunicare dignità e rammarico sociale. Le immagini del lavoro ci regalano un’istantanea dei minatori sardi, con le loro speranze, la loro routine, il loro quotidiano viaggio a cinquecento metri sotto terra.
Dal profondo, di V. Zucco Pedicini, Italia 2013, 110′
Soggetto: Valentina Zucco Pedicini
Sceneggiatura: Valentina Zucco Pedicini
Fotografia: Jakob Stark
Montaggio: Luca Mandrile
Interpreti: Patrizia Saias, Rodolfo Cabiddu, Stefano Meletti, Marco Milia, Antonello Congia, Fausto Zucca, Sergio Garau
Silenzio. Sole. Un mostro ecologico svetta, le montagne in sottofondo. Lo scatto di una serratura: una lunga discesa meccanica di cinquecento metri. I minatori iniziano a lavorare.
Siamo nella miniera Carbosulcis, in Sardegna. Le ambientazioni di questo brutale documentario sono noir, da ricercato film dell’orrore, dove i minatori si antepongono, con le loro facce buone, alla crudeltà degli elementi naturali. Sembrano degli eroi dimessi e benevoli in quei corridoi tetri in cui si muovono come grilli nella notte. La luce non esiste, lì sotto, solo ampi spazi neri ed angoli segreti, da cui ti aspetti possa sbucare un orco. Eppure quei minatori sono tranquilli: loro nella pancia di quel mostro ci vivono, è tutto normale come il gesto di scacciarsi la polvere dal viso a fine giornata. Quell’inesplorato mostro gli dà da mangiare e i minatori lo occupano anche durante la notte per convincere lo stato a non distruggerlo, a non chiuderlo. Ci si taglia le vene per quell’orco nero che ogni giorno fa precipitare in basso tante anime che tossiscono polvere. In Dal profondo i dialoghi sono pochi, c’è tanta atmosfera, inquadrature sinistre e ricercate, focalizzate su dettagli arcani, ma stranamente fluidi. Voci dignitose e malinconiche, ricordi di padri che speravano per i figli un futuro diverso, che non prevedesse quella discesa agli inferi per tutta la vita. I minatori di Valentina Zucco Pedicini sono un esercito nero e poco chiassoso, ma tanto mesto e sconfortato. In quegli abissi vengono dimenticati, come se per gridare dovessero attraversare i cinquecento metri sottoterra che li separano dal suolo.
Che cosa vogliono dirci? Forse che la miniera è una creatura ingrata che si succhia via la salute in cambio di pochi soldi al mese; oppure, forse, che per loro basterebbe che tutti conoscessero la densità di quel buio fuligginoso che li accompagna giorno dopo giorno. Cosa vogliono dirci? Parlano talmente poco, che nel loro silenzio bisogna saper scorgere le grida, che non sono di aggressiva protesta, ma di addolorato rammarico. Se si coglie questa sottigliezza, le loro bocche iniziano a gridare così forte da assordare le nostre menti.
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