Le opere in mostra al Palazzo Delle Esposizioni sono alcune delle più importanti opere d’arte provenienti dai tre centri di arte contemporanea Guggenheim – il Solomon R. Guggenheim Museum di New York, insieme con le tele della Solomon R. Guggenheim Foundation, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia e il Museo Guggenheim di Bilbao – che hanno segnato l’avanguardia americana tra il 1945 ed il 1980 e che hanno rappresentato le icone per eccellenza di alcuni dei movimenti artistici più noti al mondo: l’espressionismo astratto, la pop-art, il minimalismo – e post-minimalismo – ed il fotorealismo.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’America diventa il centro della cultura artistica mondiale, un popolo giovane alla conquista del primato mondiale che, non ponendosi il problema storico di un confronto e di un debito con il proprio passato, violentemente, introietta l’arte nel circuito moderno e rivoluzionario della produzione e del consumo di massa. All’interno di un contesto sociale demistificante e squalificante, si pone il problema del ruolo che assumono la presunta opera d’arte e l’artista/intellettuale; quest’ultimo, infatti, per definizione, crea, attraverso il proprio personale e incondizionato estro, un’opera, una e unica, elaborazione di suggestioni mondane e soggettive che non si lasciano vincolare dai limiti imposti dalla logica consumistica: l’arte non è mera (ri)produzione ma libera creazione.
Questo è ciò che sembrano urlare a gran voce i “grovigli” pittorici deliranti di Pollock: rabbia, frustrazione, reazione al pragmatismo “industriale” che costringe all’azione meccanica, inconsapevole e acritica. Pollock rivendica il valore assoluto del “caso”, l’eventualità che qualcosa possa essere diversa da come è, la possibilità di stupirsi nella produzione in fieri di un’opera che non è progetto, mera ri-produzione di qualcosa di deciso a priori, ma, nella sgocciolatura casuale di pittura su tela, è la proiezione ed il prolungamento dell’interiorità dell’artista stesso. L’arte è libertà rispetto alle leggi della logica, solo con essa si può attingere a ciò che è sconosciuto e non arbitrario: il non-conscio. É cosi che si delinea l’essenza dell’action-painting, un’ “azione” che è raptus, quello dell’artista che, nell’atto creativo, si lascia trasportare dal ritmo della sgocciolatura casuale e con essa sfoga la tensione accumulata dinanzi al pragmatismo alienante dei “tempi moderni”: il pragma, nella sua libertà, è positività e creazione.
Ma se l’artista usasse i materiali industriali per creare le proprie opere – come Calder – e se i prodotti di massa “popolari” venissero incorporati nell’opera d’arte fisicamente – come fa Rauschenberg – e quindi, decontestualizzati e uniti all’atto pittorico, facessero parte dell’opera in quanto tale?
La seconda parte dell’articolo
IL GUGGENHEIM. L’AVANGUARDIA AMERICANA 1945-1980
Palazzo delle esposizioni, 7 febbraio – 6 maggio 2012,
foto Jackson Pollock, Number 18, 1950, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, donazione di Janet C. Hauck.
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