D’Amo’ Contemporary Dance regia e coreografie Valeria Loprieno
di e con Valeria Loprieno, Ludovica Avetrani, Giovanna Rovedo
voce Nicola Balbi
musiche AA. VV.
luci Francesco Rossini
foto Fabrizio Iozzo Teatro Spazio Uno, Roma
5 Luglio h 21 – 6 Luglio h 18
Tre donne, due danzatrici e un’attrice, rievocano un uomo, uno tra gli artisti più geniali e controversi del Novecento: Pablo Picasso.
Tramite movenze e costumi androgini, le performer si alternano in schemi narrativi ben definiti che ricompongono le vicende salienti della vita e della personalità del pittore. Ludovica Avetrani è la voce a tratti di Picasso, delle sue amanti, del narratore interno e onnisciente, che lega le scene della narrazione gestuale delle danzatrici, spesso in contrapposizione nelle coreografie a due – equilibrista, scattosa, energica Valeria Loprieno, burrosa, sensuale, triste Giovanna Rovedo – a personificazione delle sfaccettature di stati d’animo, caratteri, personaggi, eventi storici di cui si è nutrita la vicenda personale e artistica rievocata.
Olga, Dora, Marie Thérèse, Françoise, Jaqueline. Nomi sussurrati per ricordarci il ruolo delle amanti sottomesse e rivali, martiri amate in quanto fonti d’ispirazione, specchi immortali del narcisismo dell’artista, tali da determinare cambiamenti di stile nei quadri in base al “periodo” della passione. Ubriaco, egoista, delirante. Disprezzava i colleghi e adorava Parigi e i clown. Maschere enigmatiche che, non a caso, divengono protagoniste di un breve intermezzo ironico.
Interessante l’uso, tra i pochi elementi scenici, di un filo per stendere il bucato che diviene strumento borderline di un continuo ready-made: i panni stesi, poi utilizzati e infine sostituiti da fogli di giornale sminuzzati e sparpagliati dappertutto sono pezzi di ricordi pubblici e privati. Notizie e colori dai quali la realtà del pittore prendeva forma.
Nel crescendo di questo teatrodanza frammentato, i corpi nudi delle performer senza sguardo passano, quasi naturalmente, dall’essere modelle per ritratti a manichini rotti dalle tragedie umane; su tutte Guernica, dipinta in sole cinque settimane non in quanto uomo ma in quanto spagnolo, è testimonianza del percorso doloroso e privo di buonsenso di ogni opera d’arte degna di questo nome.
Lo spettacolo si pone senza mezzi termini come un omaggio ad una divinità capricciosa che, riuscendo a ritornare a rappresentazioni infantili del mondo, poteva creare ex nihilo.