Drammaturgia e regia Daniele Salvo con Gianluigi Fogacci e Raffaele Latagliata elaborazione immagini video Indyca, Torino scene e costumi Erminia Bassi produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello collaborazione con Farhenheit 451 Teatro dal 5 al 15 Marzo Teatro Vascello, Roma
Gli attori sono già schierati sul grande palco del Teatro Vascello mentre l’ingresso del pubblico in sala è accompagnato dalla voce di Pier Paolo Pasolini. Sulla scena sono ben distribuiti un letto, una scrivania, su cui è seduto il poeta (Gianluigi Fogacci), e alcune sedie; tutto è coperto da un forte fumo, una nebbia che colpisce e avvolge l’anima ancor prima degli occhi.
L’idea è ricordare Pasolini nel quarantesimo anno dalla sua morte atroce, violenta e misteriosa, dedicandogli uno spettacolo la cui prima messa in scena, il 5 Marzo, coincide con la data di nascita del poeta.
La prima parte della rappresentazione è dedicata alle “Lettere Luterane”, gli ultimi articoli che Pasolini scrisse per “Il Mondo” e “Il Corriere della Sera” nel 1975. Il poeta inveisce contro lo Stato accusato di avere come unico scopo quello di governare per detenere il potere e non per risolvere le questioni sociali contribuendo alla creazione di persone culturalmente identiche, formate con una totale assenza di opinione e di consapevolezza sulla propria funzione. Le soluzioni che vengono proposte riguardano le abolizioni della scuola media d’obbligo e della televisione ree, in maniera differente, di formare persone culturalmente controllate dai poteri forti.
La lettura e l’ottima interpretazione di questi scritti sono accompagnate in un perfetto legame da immagini sullo sfondo che ritraggono Pasolini e i vari personaggi della politica degli anni ’70. Quando termina la sua critica alla società, Pasolini si sdraia e prende sonno; un sonno agitato da incubi in cui compaiono un uomo completamente nudo, che incarna l’idea del giovane pasoliniano, e un picchiatore fascista, che con il manganello colpisce il poeta in varie circostanze nelle parti intime come a voler rappresentare la castrazione fisica e spirituale di un regime politico totalitario al quale egli si è sempre opposto.
Al suo risveglio ha inizio una seconda parte dello spettacolo con l’entrata in scena di Furio Colombo (Raffaele Latagliata), l’ultimo giornalista che ha intervistato Pasolini. L’invettiva è molto forte: “non ci sono più esseri umani, solo macchine impazzite che si scontrano” e la colpa non è altro che del potere politico come degli intellettuali. Quando, al termine dell’intervista, Colombo domanda a Pasolini quale titolo voglia dare al loro dibattito, il poeta risponde che “il seme, il senso di tutto è che siamo tutti in pericolo”: profetico grido d’allarme sul declino della nostra civiltà.
Nell’intera ora dello spettacolo è palpabile un’angoscia, un’ansia il cui climax è raggiunto quando Pasolini, dopo aver dato appuntamento a Colombo all’indomani, per correggere e rivedere alcuni aspetti dell’intervista prima della pubblicazione, si sdraia, le luci si spengono, la sala piomba nel buio totale e sullo sfondo vengono trasmesse le dolenti immagini del becero e violento omicidio del poeta e del giorno del suo funerale. L’omaggio ad un grande personaggio della cultura italiana del ‘900, poeta, scrittore e regista non poteva risultare migliore.