“Alors vous lui réapprendrez à danser à l’envers comme dans le délire des bals musette”.
La seconda giornata di studi Antonin Artaud. Variazioni italiane si è svolta il 24 novembre e si è aperta con la sessione intitolata L’Homme-Théâtre presieduta, nell’aula Levi Della Vida delle ex-Vetrerie Sciarra, da S. Carandini. Sono intervenuti come discussants, nel corso della tavola rotonda, F. Ruffini, F. Cambria, M. G. Borrelli e S. Lombardi.
Le varie relazioni hanno sapientemente mostrato le molteplici sfaccettature della figura e del pensiero di A. Artaud. Filosofo, visionario, folle, regista, attore, uomo di pensiero e di azione, Artaud si libera, attraverso le proprie opere teatrali, da qualsiasi convenzione religiosa, morale, potremmo dire, addirittura, antropologica. Una personalità visionaria, non allucinata e, come afferma F. Ruffini, costantemente con i piedi per terra. Il pensiero artaudiano è lontano dal metafisico e dal trascendente; sempre attento nei confronti della danza, egli si focalizza sul movimento dei corpi, sulle loro capacità rappresentative, sulla loro passione. Corpo e mente si fanno, nel Teatro della crudeltà, momento teoretico e operativo dell’artista, unità indivisibile, particelle subatomiche indissociabili. Le Théâtre de la cruauté è, infatti, quell’atomo artistico capace di mostrare l’orrore di Artaud per l’uomo che compie un’azione senza aver configurato prima alcun pensiero sottostante l’azione stessa e per l’uomo che, al contrario, si limita al puro e inutile pensare sospendendo la messa in atto di qualsiasi azione dinamica potenziale. Libertà e crudeltà sono, in questa visione metarappresentativa, sinonimi.
Con F. Cambria scendiamo ancora di più all’interno della costellazione Artaud per evidenziare il suo lato filosofico. Attenzione! Non un Artaud identificato e appiattito su una specifica corrente di pensiero, ma un vero uomo teoretico: filosofo a tutti gli effetti. Compagni di questo viaggio sono Platone, Aristotele, Deleuze, Agamben.
Scopriamo così la figura di un Artaud che mira alla “definizione” di un soggetto mediante un rinnovato interesse per la scienza del corpo. La costruzione del soggetto artaudiano passa, in maniera ineludibile, attraverso un processo di desoggettivazione che mira alla deflagrazione dello stesso sostrato –hypokeimenon– soggettivo nell’intento di esibire la moltitudine presente nel nostro stesso corpo. Il soggetto desoggettivante, in un participio presente che intende manifestare la dinamicità del processo ri-(de)-costituente, lavora materialmente sul corpo, ridefinendone i suoi confini e facendoci volgere lo sguardo verso la nostra costitutiva finitezza. L’essere-in-bilico nel mondo assume in Artaud, per F. Cambria, una tonalità etico-politica, i cui echi teoretici potrebbero essere riscontrati nella filosofia del primo Heidegger e, soprattutto in quella di Merleau-Ponty.
Più che di corpo bisognerebbe allora parlare di carne artaudiana. Carne da macello, ovvero corpo da riconfigurare nel nostro fare esperienza nel e del mondo. Lavorare con il corpo significa, per M. G. Borelli e per S. Lombardi -attore e vincitore del Premio Ubu per Artaud. Una tragedia-, operare con la voce, il gesto, il linguaggio e il movimento. Un teatro forse impossibile, ma che, nel suo slancio anelante, tenta di dare voce al corpo e di donare corporeità e violenza alla voce stessa. Artaud vuole farci comunicare, prima che con le altre persone, con il nostro corpo; ci troviamo così di fronte a un’intersoggettività che, nel suo nucleo originario, è totalmente interna al singolo essere umano, inteso qui come soggetto plurale.
Metterci in ascolto del pensiero di Artaud, leggere i suoi libri, vedere le sue opere teatrali ci permette di riscoprire la multisensorialità della nostra esperienza espansa, del nostro “corpo senza organi” –da percepire come campo di molteplici forze contrapposte- come affermò lo stesso Artaud in una trasmissione radiofonica. La nostra carne ci consente di riunire il dualismo di azione/pensiero raffigurandolo come momento dell’unione ancestrale di poiesis ed ekstasis, attività e passività del nostro esperire e del nostro essere-nel-mondo. Artaud porta in scena, nel Teatro della crudeltà, la fusione dell’atomo uomo; il vero protagonista delle sue rappresentazioni è, infatti, l’Homme-Théâtre.
ANTONIN ARTAUD. VARIAZIONI ITALIANE
curatrici M. G. Borelli e L. Dumenil
Roma dal 22 novembre al 4 dicembre, Ambasciata di Francia in Italia, Sapienza Università di Roma, Rai Radio 3, Villa Medici, Accademia di Francia a Roma e Teatro di Roma