Artista: Dario Puggioni
Titolo: Il fallimento dell’udito
a cura di Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti
Luogo: White Noise Gallery, Via dei Marsi 20-22
fino al 18 aprile (dal martedì al venerdì dalle 12 alle 20, il sabato dalle 16 alle 20)
Il fallimento dell’udito è la prima personale romana di Dario Puggioni. Nato a Seria Brunei nel Borneo (Indonesia) nel 1977 dopo una formazione al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti di Roma, si trasferisce a Berlino dove attualmente vive e lavora. La White Noise Gallery presenta i recenti lavori dell’artista in un percorso suggestivo dove le inquietanti mutazioni raffigurate nei dipinti ad olio (su carta intelata o incollata su legno e su rame), sembrano prendere vita nelle installazioni dello spazio sperimentale e sotterraneo della Project Room.
L’udito, il primo dei cinque sensi, è anche l’organo che governa l’equilibrio e favorisce il contatto con l’esterno. È dal suo fallimento, dall’instabilità che ne deriva, che si innescano sorprendenti meccanismi. Exuviae, La muta, Mitosi, Peristoma, Schiusa…sin dai titoli delle sue opere è espressa la passione dell’artista per le scienze naturali e l’entomologia. È da tali processi biologici e di trasformazione che Puggioni prende spunto per le sue opere dove sofisticate figure appaiono come visioni oniriche in atmosfere di assoluto isolamento. Estirpate dalla loro terra come le radici che le pervadono, si ritrovano sospese o in attesa nell’assordante e oscuro silenzio. Copricapi come religiosi mitra o antiche corone egizie rivestono le teste dei protagonisti, ne occludono la vista e celebrano l’irrazionale. Così figure femminili e maschili sembrano subire l’atto di un’atroce ma affascinante metamorfosi. Un fremito percorre le protuberanze che si diramano dai loro capi. Radici come fasce nervose sondano e invadono lo spazio.
I corpi appaiono dal buio come illuminati di luce propria, la stessa che per contrasto con il fondo scuro ne esalta i volumi. La materia del colore è sentita e percepita dai nostri occhi in sbavature e pieghe che, fuori dal controllo della meticolosa pittura, propagano tali mutazioni come un contagio. La necessaria evoluzione dell’essere che destabilizzato, traumatizzato non soccombe alla schizofrenia imperante della società capitalistica ma la assorbe e la metabolizza. L’artista affronta in questo modo, attraverso una tecnica tradizionale come l’olio, un tema di estrema complessità che affonda le sue radici nella mitologia e trova la sua apoteosi nel “corpo senza organi” introdotto da Antonin Artaud. Un corpo che, contro ogni categorizzazione, si fa mutante, sconfinato, desiderante e dinamico.