Dark shadows, 140′, USA 2012,
Regia Tim Burton,
Soggetto John August e Seth Grahame Smith,
Sceneggiatura Seth Grahame Smith,
Produzione Warner Bros. Pictures Italia,
Fotografia Bruno Belbonnel, A.E.C., A.S.C.,
Montaggio Chris Lebenzon, A.C.E,
Scenografia Rick Heinrichs,
Interpreti Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Michelle Pfeiffer, Eva Green.
Accecata da un amore non corrisposto, la sguattera del castello di Collinwood, strega in segreto, trasformerà l’amato Barnabas Collins in vampiro, rinchiudendolo in una bara sottoterra per due secoli. Nel 1972 un’impresa edile libererà accidentalmente Barnabas, che tornato al castello si troverà a fare i conti con gli eredi impoveriti della stirpe Collins e un mondo modernizzato. Il conte tenterà la restaurazione commerciale dell’industria ittica di famiglia e la conquista del cuore di Victoria Winters, delicata fanciulla di New York incredibilmente simile a Josette, la fidanzata dell’epoca precedente precipitata da una scogliera a causa di un sortilegio della strega Angelique.
Tim Burton torna sulla scena cinematografica mettendo in scena la serie cult americana “Dark Shadows” creata da Dan Curtis, radunando il suo cast abituale e qualche volto nuovo: Johnny Depp, la moglie Helena Bonham Carter, Michelle Pfeiffer, Eva Green, e delle brevi apparizioni di Alice Cooper e degli attori originali della serie televisiva. Col barocchismo di sempre, il regista disegna una fiaba gotica dall’ambientazione usualmente oscura, scenografata con maestria attraverso costumi aristocratici decadenti e castelli degradati e splendidi, intrecciando col suo sviluppo interessanti personaggi dalla caratterizzazione brillante e malinconica.
Un trend, quello del soggetto cinematografico vampiresco, in cui Tim Burton non si inserisce, muovendosi nell’ambientazione soprannaturale dall’inizio della sua carriera. Da “Edward mani di Forbice”, passando per “Il mistero di Sleepy Hollow” e “Alice in Wonderland”, “Dark Shadows” rinnova l’assenza di dinamica delle produzioni burtoniane che, diventando un must, raccolgono sentimento e melodramma mischiando l’horror a elementi di umorismo. L’ironia è espressa da alcuni sketch demenziali atti a ridicolizzare la stranezza degli anni ’70, che spezzano il carattere romanticamente fiabesco della narrazione inserendola in una dimensione cinicamente più contemporanea.
Burton mostra il lato tragico e oscuro dell’amore senza ricorrere al realismo, forse troppo spaventato dal mondo adulto dipingendolo con una storia di vampiri e principesse, che senza pallore e vesti sontuose somigliano a noi, che ancora nell’amore troviamo un gioco complicato di rabbia e bellezza.
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