Con la mostra fotografica Il Cardo rosso, allestita nelle strutture di Officine Fotografiche Roma e a cura di Renata Ferri, Davide Monteleone permette allo spettatore di porsi dietro al suo obiettivo lasciandogli conoscere, per un momento, la realtà complessa, tragica e affascinante delle zone caucasiche.
Titolo: Il cardo rosso/Red thistle
Artista: Davide Monteleone
a cura di: Renata Ferri
Luogo: Officine Fotografiche Roma, Via Giuseppe Libetta, 1
fino al 10 maggio 2013
Ci sono regioni del mondo che rischiano di apparire sempre estranee a coloro che le osservano dall’esterno. I luoghi, le tradizioni, le persone che le abitano risultano spesso incomprensibili, affascinanti forse, ma lontani, persino pericolosi.
Quando poi a una simile aura di ostilità si aggiungono le ferite aperte da lunghi conflitti, tali zone risultano ancor più inaccessibili, a meno che non si disponga di un qualche tipo di guida, in grado di farne emergere un fascino che, normalmente, è nascosto dalla distanza, fisica e culturale.
È questo ciò che accade grazie agli scatti di Davide Monteleone. Il Caucaso e le zone circostanti vengono mostrati agli interessati attraverso un occhio che, immagine dopo immagine, si conferma capace di evidenziare dall’interno un nucleo di elementi, rappresentativi di quella realtà che un osservatore inesperto ma curioso vorrebbe poter conoscere e comprendere.
Sono le figure femminili, nel percorso dell’esposizione Il cardo rosso, a passarsi il testimone, a reggere le fila del racconto che, dagli ambienti più intimi e protetti in cui normalmente si svolgono le loro vite alle macerie in cui questi stessi ambienti sono stati mutati da anni di scontri violenti, permette allo spettatore di entrare, almeno per un momento, nella prospettiva del fotografo, osservando con lui quello che gli si pone di fronte. La donna come filo conduttore, vittima e carnefice, portatrice di tradizione e innovatrice, ma comunque rappresentante della propria gente e della propria terra.
Davanti all’occhio del reporter e, attraverso esso, anche davanti a quello del visitatore, scorrono ma vengono fissati danze e antiche cerimonie, rituali bellici e religiosi, paesaggi incontaminati o devastati dall’aggressività umana. Dall’Ossezia alla Cecenia, dall’Abkhazia al Daghestan, ci si muove nel silenzio dei monasteri così come in quello di boschi e cimiteri, ma anche nel caos di chi fa la fila per comprare il pane.
Lo sguardo freddo dei soldati si sovrappone a quello, abbassato, di una giovane sposa e con essi si intrecciano quello del fotografo e dell’osservatore sconosciuto e lontano. Quest’ultimo, che con difficoltà potrebbe immaginare se stesso a vagare in tali luoghi estranei, è invece trasportato, seppure per un tempo limitato, oltre quell’orizzonte che avrebbe di norma ritenuto rigidamente tracciato e tanto difficile da varcare.