Dare una lettura lacaniana di Strade Perdute (1996) oppure mostrare come Lynch sia un interprete esemplare della psicanalisi di Lacan? Questa la domanda su cui si muove il denso libro di Zizek.
A partire dalla decostruzione del Codice di Produzione di Hollywood (codice Hays), Zizek vuole mostrare come la censura – da/di contenuti sessuali e vita dissoluta – invece di proteggere gli spettatori dal lascivo e dal libidinoso produca una “macchina sovversiva” ancora più potente, nella quale la trasgressione s’instaura come perno del sistema stesso. Per Zizek esiste un “supporto osceno inconfessato” che esplica, nel cinema, il suo pieno “statuto sovversivo” attraverso la figura della femme fatale e delle sue continue, quanto interessanti, evoluzioni. Dalla femme fatale innocente, che resiste alla minaccia trasgressiva e diviene attrazione irresistibile per l’uomo – è questo, infatti, il suo insondabile grembo spettrale -, passiamo alla femme fatale di Brivido caldo (1981) e L’ultima seduzione (1994), in cui la donna rimane presenza enigmatica affermandosi come cruda sfruttatrice dell’essere uomo mediante l’evidente attestazione del sostrato fantasmatico del desiderio-godimento maschile.
Arriviamo così a Strade Perdute, film che con le parole di Zizek possiamo descrivere come un: “meta-commento all’opposizione tra femme fatale classica e postmoderna”. Ci troviamo immersi nel grigiore della scialba e canonica esistenza quotidiana di Fred e di sua moglie Renee, e nel perverso, quanto noir e pornografico, mondo in cui Pete, amante di Alice – interpretata da Patricia Arquette, la stessa attrice che interpreta anche Renee -, s’infilerà.
L’assassinio della stessa Renee, l’Uomo misterioso, la metamorfosi di Fred in Pete, Mr Eddy/Dick Laurent, saranno i protagonisti e i momenti principali dello sviluppo circolare della storia.
Rifiutando qualsiasi teoria riduzionista e il diniego di ogni sforzo interpetativo, possiamo affermare, con Zizek, che la seconda parte di Lost Highway non è né creazione allucinatoria di Fred, né tantomeno flashback-movente dell’uxoricidio; esso è piuttosto il capovolgimento e la trasformazione di quella piena passività di cui il protagonista, nella prima parte, è completamente vittima, in un campo d’azione, volontà di potenza che dà ragion d’essere alla stessa morte di Renee. Da oggetto inerte che patisce, Fred-Pete diviene soggetto che ha volontariamente e attivamente voluto. Il film di Lynch non mette così in scena il racconto di un’invenzione allucinatoria, ma la riattivazione di un soggetto comprendente e consapevole delle proprie azioni.
Tuttavia, secondo Zizek, la vera originalità dell’opera cinematografica di Lynch è situata nella sua capacità di esplorare, attraverso un insieme di personaggi de-realizzanti – ovvero stereotipi quasi da telenovelas, antagonisti ridicolmente iperattivi, femme fatale pudiche e disinibite -, la crudeltà e brutalità del Reale alla cui base, non vi è il manicheismo con la sua divisione dualista Bene/Male, bensì la totale e non più scindibile fusione di una molteplicità di innumerevoli agenti esistenziali, come possiamo vedere, ad esempio, nella piena identificazione della Loggia Bianca e della Loggia Nera ne I segreti di Twin Peaks (1990) e in Twin Peaks: Fuoco cammina con me (1992).
Per Zizek “il supporto fantasmatico della realtà è necessariamente multiplo e incoerente”; egli indaga la carne dell’immagine lynchiana dandole la responsabilità, soltanto a prima vista de-realizzata, di afferrare e sottoporre ai nostri occhi quell’(in)-afferrabile Altro perverso, sadico o, più semplicemente, fantasmatico, costitutivamente presente in noi. Lo spettro nella sua (in)-visibilità decreta il suo farsi primordiale, ristrutturante, potenza immaginifica. E’ merito di Zizek decretare, nella domanda da cui eravamo partiti, una delle possibili strade perdute d’indagine…
LYNCH: IL RIDICOLO SUBLIME
di Slavoy Zizek
traduzione di Damiano Cantone e Lorenzo Chiesa
Mimesis, Milano – Udine, 2011