La cantante, ai margini della scena, sembra provenire da un fumoso locale di Buenos Aires, con il suo provocante vestito rosso, le calze a rete e una voce sensuale carica di quella nostalgia tanto familiare alla musica argentina. Come accompagnamento, il suggestivo suono di una fisarmonica e quello di un pianoforte. I melodiosi versi del maestro Anibal Troilo introducono dolcemente il concetto della perdita, tema della pièce: Busco desolado tu calor y aquí no estás…que se perdió sin poderte encontrar por las calles del mundo.
Protagonista è una giovane madre, vestita a lutto, che fissa alcune fotografie con sguardo assente; le bacia, le accartoccia, le strappa in mille pezzettini, le getta a terra, formando attorno a sé un tappeto di visi. Sono gli unici ricordi dei suoi figli desaparecidos, Maria e Ignacio, partoriti con dolore, nutriti amorevolmente con alfajores con dulce de leche, e persi nella macabra storia dell’Argentina degli anni ‘70-‘80, guidata da un bieco regime militare anti-comunista, ossessionato dai sovversivi.
Lei è il simbolo di tutte le madri di Plaza de Mayo, le locas, battutesi alla strenua ricerca dei propri adorati bambini, abbandonate e tradite dalle persone più care, spesso dai loro stessi mariti. E’ il periodo della repressione silente, delle ronde notturne, delle incarcerazioni immotivate, di torture indicibili per uomini e donne, fino al punto di non ritorno. Scariche elettriche, rottura di ossa, pestaggi con sacchetti di sabbia, soffocamento con escrementi, iniezioni letali e conseguente dispersione dei corpi nel mare.
Circa 30.000 ribelli sono stati eliminati in quel decennio, con la tacita complicità dell’opinione pubblica internazionale. Quanto si è sentito parlare di Alleanza Anticomunista Argentina (AAA) o di Escuela de Mecanica de la Armada (ESMA)? Quanto dell’operazione Condor, vero e proprio addestramento dei militari alla tortura?
Accanto alla madre, specularmente, è seduta un’altra donna, più anziana, con il ventre gonfio. Sembra stia per partorire, benché sia un evento improbabile per la sua età. In lei, l’incarnazione di un ventre che è muto e sordo, della sterilità di tutte quelle donne che sono diventate madri con i figli altrui, in questa perversa girandola di esseri umani. La sua vecchiaia è anche allegoria di uno strazio che ha investito più generazioni, non ultimi i figli dei desaparecidos, che le nonne avvicinavano facendosi assumere come domestiche nelle case in cui essi vivevano, smettendo di chiedere dei loro figli e trattenendo il pianto, lo schifo, la pietà.
Lo spettacolo-documentario, formidabile esito di indagini in loco, è supportato da interviste e filmati originali, che si intervallano all’azione scenica, rendendola ancora più storica. Le parole di alcuni politici e religiosi, riprodotte fedelmente dalle riprese, sono talmente assurde che ci si chiede, inizialmente, se si tratti semplicemente di una satira iperbolica. Fanno accapponare la pelle, quelle espressioni: Gli stupri? Parte di un programma culturale: difendere la società dalla contaminazione. Il dissenso? Lasciatelo a casa, nel vaso da notte. E continua la madre, nei vaneggiamenti propri di chi non trova spiegazione logica a tanto orrore: No, i bambini, no, non li ammazzavano, non li seviziavano. Certo è capitato che qualche niño sia stato ucciso, ma per sbaglio. Quelli no, non si doveva, non si sarebbe dovuto.
Il parto finale della donna più anziana è il simbolo di un miracolo della natura, inteso come improbabile speranza futura: la nascita di un’umanità riscattata finalmente dall’odio e dall’ignoranza.
L’ULTIMA MADRE
di e con Giovanni Greco
e con Maria Cristina Zerbino
musiche Daniela Troilo
fisarmonica Paolo Rozzi
pianoforte Primiano Di Biase
spazio scenico e realizzazione video Tiziana Amicuzi
con l’amichevole partecipazione di Alessandra Mortelliti, Gianluca Riggi
Giovedì 22 Marzo ore 21 – Teatro Argot Studio – Roma