Di untori e altri demoni

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Il Teatro Palladium di Roma, in occasione della Giornata Internazionale a sostegno delle vittime di tortura (26 giugno), ha affrontato il tema con un evento spettacolo, nato dalla collaborazione fra Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), campagna LasciateCIEntrare Antigone Onlus. Con la partecipazione di Erri de Luca.

 

Di untori e altri demoni

Presentazione: Jean Leonard – Tuadì

Proiezione del video “Inside carceri” realizzato da: Antigone

Con un monologo di: Erri De Luca 

Spettacolo teatrale realizzato con i rifugiati che hanno partecipato ai laboratori di riabilitazione psicosociale del CIR promossi all’interno di “Together With VI.TO.“, progetto di accoglienza e cura alle vittime di tortura finanziato dalla Commissione Europea

Regia e formazione: Nube Sandoval e Bernanrdo Rey

Fotografia: Sergio Vasselli

Dove: Teatro Palladium,

Quando: 25 giugno 2013, ore 20:30

La pratica della tortura, in Italia, esiste: si subisce diffusamente nei CIE, nelle carceri, nei luoghi di fermo e di detenzione in cui, nell’isolamento, persone che non possono difendersi sono aggredite e costrette a condizioni di vita disumane. La tortura esiste, ma in Italia non è ancora un reato sancito dal codice penale, come sarebbe invece previsto dalle convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dal nostro Paese. Questa mancanza legislativa rende la difesa delle vittime difficoltosa e i processi inefficaci, troppo spesso interrotti per prescrizione dei termini. I torturati, in Italia, non hanno segni distintivi; sono la gente comune che viene fermata dalle forze dell’ordine perché manifesta in piazza o con l’accusa di reati minori, i detenuti costretti a celle sovraffollate e malsane, i migranti che, nei Centri di Identificazione e di Espulsione, sono privati della libertà personale, dell’identità, dei diritti minimi per condurre una vita dignitosa.

Sul palco del Palladium, per la serata a sostegno delle vittime di tortura, anche lo scrittore Erri De Luca, che ha ricordato come rari, in letteratura, siano i testi che trattino l’argomento. Cita a proposito Nella colonia penale di Kafka e l’opera di Nazim Hikmet, egli stesso recluso e torturato per il suo impegno politico. Legge poi al pubblico, con voce essenziale, il proprio racconto La slegatura, in cui il protagonista, Karim, è ridotto in fin di vita sotto atroci supplizi, ma non si piega alla confessione che si pretende di estorcergli. È che non cercavano una verità, ma volevano una confessione, scrive Manzoni nella Storia della Colonna Infame. Questo testo celebre della nostra letteratura italiana, impressionante per potenza e attualità, sarà il filo conduttore dello spettacolo che, a seguire, inonderà di vita il Teatro Palladium.

Gli attori sono quindici  rifugiati da diversi paesi africani, che hanno partecipato ai laboratori di riabilitazione psicosociale del CIR, diretti da Nube Sandoval e da Bernanrdo Rey e promossi all’interno di Together With VI.TO., progetto di accoglienza e cura alle vittime di tortura, finanziato dalla Commissione Europea.

La scena è un muro, tinteggiato di ocra. L’intreccio di epoche, popolazioni umane e luoghi è profondo e inestricabile: è il Mediterraneo – e cittadino del Mediterraneo, più che dell’Europa, si è appena dichiarato Erri de Luca.

Un uomo alto, africano, vestito di bianco, ci racconta con parole manzoniane una storia di casa nostra. Anno 1630: la peste a Milano dilaga. Il popolo, l’autorità, esige un colpevole umano per la sciagura. Allora come oggi si cerca un capro espiatorio su cui sfogare la rabbia collettiva per un disagio che appare misterioso. Una donna vede un uomo compiere un gesto per lei incomprensibile e, già solo per questo, sospetto. Parte la denuncia. Si innesca così, nel modo più sciocco, la caccia all’untore e una spirale di tortura che porterà all’atroce assassinio di due uomini innocenti, sotto gli occhi di tutti. Al racconto si intervallano ampi squarci di vita contemporanea. Gli attori si presentano nella loro umanità più profonda: il nome (Mi chiamo…), la terra patria (Vengo da…), la prima identità (Quando ero piccolo mi piaceva…). È, questa, l’identità che perde il torturato, nel momento in cui lo si riduce a oggetto, negandogli la necessità primaria di essere visto nella propria natura di uomo e di donna, di singolo individuo. E l’identità prorompe, finalmente, nel corpo, nella danza, nel canto, nell’individualità condivisa, nell’ironia che ognuno regala e si regala attraverso il rito teatrale. È un Io degno di esistere, che diventa Noi nell’incontro, nell’amore, nel litigio e nella pacificazione, nella tessitura di una comunità. Il maschile e il femminile si differenziano e si integrano; il simbolo, la maschera, i gesti del lavoro, le assurdità di una politica corrotta e prepotente, le sonorità degli idiomi differenti sono espressione di un’unica umanità globale.

Esseri umani sbarcano da sempre, esuli come Abramo, in cerca di nuove terre. Abramo è ospite, accoglie e viene accolto, perché l’ospitalità è un atto sacro. Lo straniero che arriva non invade, ma irrora, come giustamente osserva Erri de Luca.

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