Regia: Daniele Vicari
Soggetto e sceneggiatura: Daniele Vicari, Laura Paolucci
Fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Benni Atria
Scenografia: Marta Maffucci
Costumi: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi
Musiche: Teho Teardo
Cast: Claudio Santamaria (Max Flamini), Elio Germano (Luca Gualtieri), Jennifer Ulrich(Alma Kokh), Monica Birla (Costantine), Aylin Prandi (Maria), Alessandro Roja (Marco Cerone), Davide Iacopini (Marco), Fabrizio Rongione (Nick Jansenn), Paolo Calabresi (Francesco Scaroni), Renato Scarpa (Anselmo Vitali), Ignazio Oliva (Marzio Pisapia), Rolando Ravello (Rodolfo Serpieri).
Produzione: Fandango (Italia)
Durata: 127 min.
<<Una delle più gravi sospensioni dei diritti democratici dalla Seconda Guerra Mondiale.>> Così tuona la dichiarazione fatta da Amnesty International sui drammatici fatti accaduti nella scuola occupata Diaz, durante il G8 del 2001 a Genova. Una sospensione dei diritti umani ancora più grave perché avvenuta in parte clandestinamente, tra le mura di un carcere diventato tristemente famoso, dove i corpi delle vittime (giovani uomini e donne) sono stati anche umiliati, sotto lo sguardo di pochi testimoni altrettanto colpevoli. Non sono bastate le immagini lanciate da molte televisioni (soprattutto straniere) e in rete, sia durante che dopo gli avvenimenti, e forse non basta nemmeno un film, oggi, a rendere veramente giustizia a quel che è avvenuto in quei giorni.
Eppure, nonostante ciò e a distanza di molti anni, il film di Daniele Vicari è un’opera importante, urgente, che obbliga ciascuno di noi a uno sguardo più critico, vigile, di fronte alle contraddizioni delle moderne democrazie occidentali e alle derive a cui si può arrivare, ancora oggi. La regia, basata su una ricostruzione dei fatti che procede per gradi e che offre poco alla volta nuovi dettagli di quel che accadde durante le manifestazioni contro il G8, costruisce un climax di tensione drammatica che esplode verso la fine. Immagini di archivio si alternano abilmente a immagini girate dal regista, e compongono i tasselli di una narrazione che appare difficile, se non impossibile, ma che ha bisogno di essere mostrata senza orpelli, in tutto il suo non-senso e in tutta la sua violenta attualità. Di fronte a una realtà vergognosa e indicibile, l’immagine (sia essa quella cinematografica o dei video), risulta sempre e comunque parziale, limitata, ma proprio per questo utile: la sua parzialità, legata all’impossibilità di spiegare appieno qualcosa che è inimmaginabile, è anche la sua potenzialità, in quanto costringe proprio a immaginare, a relazionarsi, volenti o nolenti, con una realtà che vorremmo rimuovere. La divisione tra vittime e carnefici è netta ma d’obbligo (soprattutto quando si ha a che fare con le conseguenze di un abuso di potere), e rende comunque conto della complessità di un sistema politico che si mostra corrotto fin dalle sue radici e fondamenta, il cui potere, infiltrato capillarmente nelle istituzioni, fagocita la realtà, deformandola. Ciò che resta del film è la scomoda e terribile sensazione che si è tutti coinvolti, che non ci si possa sentire estranei a qualcosa che ci riguarda da vicino, come cittadini di un paese che si proclama democratico e prima ancora come esseri umani, portatori, fino a prova contraria, di diritti universali e inalienabili.
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