foto: Federica Agamennoni
Il 26 Aprile è uscito il primo progetto discografico del cantautore rock italiano Diodato, intitolato E forse sono pazzo e pubblicato dall’etichetta discografica Le Narcisse. In quest’opera prima, l’autore dà prova di una personalità artistica di indubbio valore, dimostrando di saper combinare influenze musicali molto diverse tra di esse pur non snaturando il proprio stile personale.
Diodato – E forse sono pazzo
genere: rock/pop/alternative
formazione:
Diodato (voce, cori, pianoforte e batteria)
Alessandro Pizzonia (batteria, percussioni e cori)
Danilo Bigioni (basso e cori)
Duilio Galioto (tastiere, organo, pianoforte, mellotron e cori)
Daniele Fiaschi (chitarre e cori)
Simone De Filippis (toys)
Angelo Maria Santisi (violoncelli)
con la partecipazione di Daniele Tortora (programmazione, chitarre elettriche, tasitere e cori)
etichetta discografica: Le Narcisse
info: Diodato
ascolta: Ubriaco, I miei demoni
Il titolo, richiamando uno scenario di ambiguità e incertezze, è chiaramente indicativo di molti aspetti che andranno a cogliersi nell’ascolto: vi ritroviamo un oscuro intreccio di gioie, dolori, legami sentimentali tormentati, prove di forza di fronte alle difficoltà della vita. E’ la storia di un amore passionale che fa da ouverture con la prima traccia Mi fai morire: il suono insistente del pianoforte, gli effetti vocali e il ronzare della chitarra trasmettono le sensazioni di una pulsione carnale e irrefrenabile.
A seguire, il brano Ubriaco colpisce per il suo impatto diretto, come una botta, e strugge per i suoi toni cupi e malinconici. Che dire poi de I miei demoni, con quel martellare degli accordi di pianoforte e il persistere del basso distorto? Si tratta certamente di un pop rock che attinge a piene mani dal repertorio della musica internazionale, espresso a sua volta da una lirica violenta, come un grido di fronte agli schemi opprimenti e spersonalizzanti della società contemporanea.
E non mancano tuttavia le atmosfere sognanti, come in E forse sono pazzo – da cui prende il titolo l’album – che gode di un sapiente gioco di chitarre acustiche, basso e batteria jazz, e comunica un gusto per il pop melodico simile ai primi Radiohead di The Bends.
Troviamo anche brani con repentini cambi di dinamica, con influenze dal rock progressivo e psichedelico. É il caso di Capello bianco, che inizia con atmosfere lente ed introspettive e muta drasticamente con un’esplosione improvvisa nel ritornello. La lirica è un chiaro riferimento all’incedere inesorabile del tempo, che porta via con sè le gioie di una spensierata giovinezza. Il bridge d’intermezzo ricorda molto lo stile brit rock dei Placebo, soprattutto nelle variazioni musicali del basso e nelle plettrate rozze e graffiate della chitarra.
Ma Diodato è anche esperienza frutto di una tradizione nostrana. E’ figlio di una grande scuola di cantautori italiani che hanno saputo emozionare intere generazioni e ancora oggi fanno capo a un orizzonte culturale dal quale non è possibile trascendere. Ci è data prova di ciò in un brillante arrangiamento originale di Amore che vieni, amore che vai. Qui l’artista, dimostrando una sorprendente duttilità, riesce a coniugare sonorità tipiche della musica italiana d’autore con ritmiche di stampo indie rock, riff aggressivi simili a quelli dei Muse, che inducono un senso di afflizione ancora più marcato e riescono, incredibilmente, ad accentuare la sublime bellezza del testo originale.
Questa è allora la prova di un geniale equilibrio tra vecchio e nuovo, tra ciò che è di costume e ciò che necessita di uno slancio espressivo slegato dalle consuetudini. Già al suo primo album, Diodato confeziona un prodotto maturo e complesso, chiaro segno di un’indomabile dedizione per la musica e presupposto incoraggiante per una carriera dalle più ampie vedute.