Continua la stagione condivisa tra Teatro dell’Orologio e Teatro Argot Dominio Pubblico con il piccolo grande Amleto di Michele Sinisi che, in solitudine, rivive la sua storia in una stanza in compagnia di alcune sedie pieghevoli e un vaso di vetro.
Amleto
di e con: Michele Sinisi
collaborazione alla scrittura: Michele Santeramo
costumi: Luigi Spezzacatene
direttore di scena e tecnico audio: Nicola Cambione
una progetto Teatro Minimo
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25-27 ottobre 2013, Teatro dell’Orologio
All’apertura della sala, Amleto è già lì, sul palco, insieme a qualche sedia pieghevole bianca, a un piccolo vaso di vetro con qualche fiore e a uno stereo portatile. Tanto basta, all’inventivo Michele Sinisi – sempre vivo ed estremamente reattivo sulla scena – per ricreare, in forma monologante e travolgentemente originale, il capolavoro shakespeariano.
Frutto di due esperienze laboratoriali -una in un istituto penale minorile, l’altra presso una comunità vicina ai mondi neuropsichiatrici- e della voglia di misurarsi con l’Amleto pur dovendo far fronte a ridotte capacità produttive, lo spettacolo ripercorre i momenti cardine della vicenda affidando tutto a una personalissima ricostruzione dei fatti a opera del principe di Danimarca. Egli si rivolge ora agli altri personaggi assenti, simboleggiati dalle sedie con i loro nomi, ora li impersona direttamente – senza, però, dimenticarsi mai di essere, in effetti, Amleto – .
La genialità, oltre che in alcune specifiche soluzioni sceniche, come l’utilizzo del vaso di vetro, e nell’eleganza dei rimandi al testo originale, sta nella profonda coerenza delle scelte di fondo. Sebbene si possa leggere lo spettacolo come il tentativo di un attore di fare tutto da solo, bisogna tenere a mente come Amleto sia, già in Shakespeare, un personaggio consapevole dei propri pensieri e dei propri impulsi, incarnando la riflessione prima dell’azione; in effetti lo spettacolo può anche essere inteso come una sorta di preparazione all’intero dramma che ancora deve svolgersi, un riassunto di quella serie di passi che porteranno al tragico epilogo, solo ultimato il quale Amleto potrà finalmente poggiare la testa sul cuscino e addormentarsi, come avviene nello spettacolo. La scena, così scarna e priva di altre figure, più che a una stanza vuota, sembra darci accesso alla mente stessa del personaggio.
Due sono i poli a cui si rivolgono costantemente i pensieri di Amleto: la vendetta del padre e le sorti della ragazza amata e così, ad arricchire, variare e collegare i vari momenti c’è il costante, quasi ossessivo, ritorno a Ofelia e al suo doversi chiudere in un convento: quasi un tormentone, che però ha del comico e del tenero. Del resto il tono dell’intero spettacolo è quello di una tragedia raccontata da un clown, consapevole del suo ruolo e di cosa questo comporti: tanta leggerezza, affogata in un mare di lacrime.