Grandi amori come catastrofi che l’hanno abbandonata sul greto della vita, eterei e penetranti, violenti e devastanti. Uomini che non si accorgono dell’anima che si nasconde dietro pochi centimetri di pelle; amanti forse solo immaginari. Se questo o quell’altro uomo siano veramente esistiti, se abbiano toccato la mia carne, questo è un fenomeno secondario.
La grande poetessa Alda Merini, magnificamente interpretata da Elisa Pavolini, è innanzitutto donna e si presenta al pubblico raccontando di un rapporto sessuale tanto squallido nella sostanza quanto poetico nella descrizione che riesce a farne, nonostante tutto. Labbra saline, mani che pescano le spugne. Voleva succhiare miele da me. Forse era solo la mano assassina che cercavo. L’amore, per lei, è una delle tante forme di suicidio agognato, ma sempre respinto. L’amore è vivere al limite della pazzia.
Tenerezza e dolore, vita e morte, lucidità e follia sembrano coesistere come massa informe nella sua anima e non conoscere argine alcuno. La sua interiorità è straripante di sensazioni così singolari da risultare, a volte, totalmente incomprensibili, quasi risalissero senza filtri dall’ignoto della sua psiche: una sorta di flusso delirante imbevuto di sapienza.
Alda Merini, fragile, opulenta donna, matrice del paradiso…Un granello di colpa anche agli occhi di Dio, malgrado le sante guerre per l’emancipazione.
Madre sola, meretrice, scrittrice stimata, pazza sognatrice, donna famelica che succhia direttamente dal midollo dell’esistenza. Utilizzando accessori sparsi disordinatamente sul palco, l’attrice dà libero sfogo alle sue doti camaleontiche e trasformiste, passando da un ruolo all’altro in un processo fluido e continuativo.
A intervallare i ricordi, che si susseguono come girandole di memoria, spinte dal vento della fantasia, si inseriscono canzoni intonate dalla voce melodiosa della Pavolini. Si tratta di motivetti spassosi ma, allo stesso tempo, drammatici. Tra tutti, In cerca di te (Sola me ne vo’ per la città), le cui note trattengono l’amarezza di chi cerca invano il perduto amore.
Il tormento delle figure, da lei riportate in vita attraverso lontane reminiscenze, parla del dolore che accomuna gli esseri umani, in particolare le donne. E’ la familiare sofferenza del suo perpetuo conflitto tra spirito e corpo, in cui l’anima risulta certamente l’elemento più peccaminoso. E’ l’angoscia del manicomio, figlio stupido che si è laureato in legge, che cura la bellezza della diversità con l’elettroshock, che spacca in due, come il perbenismo delle contesse ingessate e incartapecorite. E’ la brutale censura applicata all’istinto di vivere e al sacrosanto diritto di fare ciò che più piace. Padre, se scrivere è una colpa, perché Dio mi ha dato la parola?
Affascinanti storie escono dalla mente di Alda e rapiscono lo spettatore in una dimensione immaginifica: Alda bambina sequestrata dal diavolo irsuto e grigio, Alda con le magiche scarpette rosse, Alda amante di Mussolini, Alda marchiata dall’amore e non dal manicomio.
Io mi sono una donna che dispera che non ha pace in nessun luogo mai, che la gente disprezza, che i passanti guardano con attesa e con furore; sono un’anima appesa ad una croce calpestata, derisa sputacchiata: mi son rimasti solo gli occhi ormai che io levo nel cielo a Te gridando: toglimi dal mio grembo ogni sospiro!La poetessa, tanto coraggiosa nonostante la sua commovente fragilità, è l’emblema della lotta contro ogni pregiudizio, contro ogni ipocrisia, contro ogni censura dell’universo femminile.
RITRATTO DI SIGNORA – Il tormento delle figure
Omaggio ad Alda Merini
Di e con Elisa Pavolini
Regia Mario Schittzer
Costumi Mariella D’Amico
Assistente alla regia Arianna Di Pietro
Foto e grafica Manuela Giusto e Omar Falcini
Dal 28 febbraio al 4 marzo 2012
Teatro Trastevere – Roma