DRAMMA E DELIRIO DELLA SOLITUDINE

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Il commediografo napoletano Annibale Ruccello ricordato nel “Le cinque rose di Jennifer”

 

Una vecchia radio con gli intramontabili successi di Mina suggerisce che, lì fuori, il mondo esterno si colloca nello scorrere degli anni ’70, in un ghetto di Napoli, dove le realtà diverse e alternative, come lo possono essere il mondo e l’anima di un travestito, in quel tempo e in quella città, sono tenute isolate: ghettizzate, appunto.

L’appartamento dove vive Jennifer è corredato di pochi accessori essenziali che lasciano intendere la profonda solitudine in cui è relegata la sua vita: una sedia, un comò, le parrucche,  i cambi d’abito estrosi e sempre eleganti, la radio che, oltre a cantare Mina, annuncia la furia di un serial Killer che assassina i travestiti all’interno dei propri appartamenti, sparandogli in gola e lasciando cinque rose rosse sul luogo del delitto. Ma cinque sono anche le rose di cui Jennifer si prende cura e che ha  posizionato vicino al suo telefono. Il dramma si fa sempre più inquietante, mentre riproduce la realtà di questo spaccato di vita degli anni ’70.

Il senso di solitudine della malinconica protagonista e il terrore di essere la prossima vittima dell’assassino vengono momentaneamente interrotti, per alcuni attimi, dalle dediche musicali via radio e da un telefono che squilla continuamente per via di un disguido che fa convergere tutte le chiamate a casa di Jennifer. Quel telefono è per lei, però, una vera attesa: un attendere col cuore palpitante di speranze e trepidante di un sincero sentimento di amore; un bramare una telefonata di qualcuno che le avrebbe promesso di sposarla. Una promessa lunga tre mesi.

Tutto il mondo chiama a casa di Jennifer, mentre l’omicida fa strage di quel suo stesso mondo e un groviglio di sentimenti e malinconie attraversa la sua anima, tra una sfilata d’abito e l’altra, per essere sempre pronta nel caso in cui il suo Franco le venisse a suonare alla porta.

Dopo l’inaspettato finale, ci si domanda come sciogliere la trama, chi sia il misterioso assassino; ci si chiede quanto ci sia di puro delirio, di pazzia, e quanto di verità e di vita.

Le cinque rose di Jennifer, testo cult di Annibale Ruccello (1980), dramma della solitudine, è diretto da Agostino Marfella e interpretato altrettanto egregiamente da Leandro Amato, Jennifer e Fabio Pasquini, Anna, due travestiti di matrice genettiana. La Sala Grande del Teatro dell’Orologio, dedica numerose repliche (fino al 6 novembre) alla commemorazione del  25° anniversario della morte del grande commediografo, attore e regista di Castellammare di Stabia. Fiore all’occhiello della drammaturgia moderna italiana, Ruccello risulta essere tra i più importanti autori della scuola napoletana. Lo spettacolo, nella sua particolare scrittura scenica, vuole essere un omaggio al Teatro del grande autore partenopeo.

LE CINQUE ROSE DI JENNIFER

Regia di Agostino Marfella

con Leandro Amato e Fabio Pasquini

Dal 19 ottobre al 6 novembre 2011

Orario spettacoli: dal martedì al sabato alle 21,15 – la domenica alle 17,30

Teatro dell’Orologio, Sala grande – Via de’ Filippini, 17/a – Roma

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