DRAMMATICA DELLA RAPPRESENTAZIONE: RUGGERO SAVINIO

0

Un artista che non abbia piegato il proprio spirito a servizio dell’industria culturale, la quale esige la reificazione del prodotto artistico, ha un preciso compito etico-sociale: costringere il fruitore ad abbandonare il comfort dell’anestesia celebrale, causata dalla modernità, per instaurare con l’opera d’arte un dialogo dai contenuti tanto più disturbanti quanto maggiore è lo spessore dell’opera in questione. E lo spessore offerto dalle tele di Ruggero Savinio è enorme.

“Scurisci, scurisci… c’è sempre tempo per schiarire”, ripeteva lo zio, Giorgio de Chirico, quando da giovanissimo si recava nel suo atelier, chiedendogli di lavorare insieme. E Savinio non ha mai dimenticato quell’insegnamento: la sua è un’opera che nasce dall’oscurità, dal magma, ovvero il caos originario che, inquietamente, attende nel suo ribollire di essere strappato dalla massa informe dell’irrappresentato per venire finalmente alla luce in una tela.

L’opera di Savinio è di tipo tematico: l’artista inizia un dipinto che segue un certo tema e, una volta terminato, continua con un’altra tela che segue sempre quel fil-rouge… E così via, fino alla consunzione del contenuto di verità di cui è portatore. Si passa, successivamente, ad un altro tema che, nel frattempo, è sorto spontaneamente, e che richiede prepotentemente di far venire alla luce ciò che in esso si cela.

In particolare nella mostra monografica dedicata all’artista, egregiamente allestita dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, sono presenti alcune tele tratte dal ciclo delle Spiagge (dal 1993) e degli Istmi (dal 2000), in cui, tra paesaggi naturali, si trovano figure umane immerse nella loro malinconia, vinte e avvolte come un manto da una solitudine che sembra insuperabile, persino quando le figure dipinte sono più di una, come nel celebre tema delle Conversazioni (dagli anni ‘80). Anzi, quegli stessi paesaggi, a volte, divengono scenario di cupissime tragedie umane, come ne La Conversazione di Burano e la tempesta (1995) in cui una donna con un bimbo per mano si allontana da un uomo – forse il padre? – il cui dolore è indovinabile dalla postura che appare come pietrificata, appoggiata ad un non identificabile sostegno. Indovinabile, come dicevo, dalla postura; non di certo dall’espressione. No. Perché i volti in Savinio rimangono irrappresentati. Malinconia, paura, angoscia, tristezza, disperazione sono intuibili, ma non visibili, espressi dalle pennellate, dai colori, dai paesaggi, dalla scena… Ma non dagli occhi, poco più che macchie deformi nelle sue tele. Allo spettatore viene affidata la scelta ermeneutica: è il dolore a cancellare fino all’irriconoscibilità i tratti del volto o è l’uomo che perde la sua individualità nel vivere nella solitudine le proprie ossessioni?

“Il pittore non dipinge quello che vede, ma quello che ha visto” diceva Edvard Munch, artista per cui Savinio manifesta una certa affinità, probabilmente anche per ciò che concerne il  vissuto, dal momento che, come afferma, la sua è un’arte essenzialmente autobiografica.

Nel ciclo delle Stanze (dal 1996), l’artista apre uno scorcio da cui spiare tra le mura domestiche che celano una disperata e logorante quotidianità. Lo spettatore ha la privilegiata occasione di gettare uno sguardo dietro le quinte di certi contesti familiari i cui componenti hanno deposto la maschera sociale: a questo sguardo il compito di fornire una storia che conferisca senso all’immagine. Si scorgono ombre inquietanti sull’uscio di una camera da letto nella quale si trova una figura che tira fin sul naso la coperta; un uomo e una donna presi da un greve litigio con ai loro piedi, accovacciati, due bimbi con due grosse macchie al posto di occhi sgranati; due sposi in un letto simile a una bara, in cui la donna, con uno slancio, si scosta dall’uomo che, con la sua mano, si copre il volto privo di lineamenti. Figure più che persone, perché la loro anima sembra già persa nella ghiaccia di Cocito.

Doppio ritratto (1992) rappresenta un uomo e una donna i cui occhi, appena riconoscibili dal volto informe, sembrano puntati sullo spettatore. Su di te. Ti fissano, insopportabilmente. Sono stati amputati dal magma dell’irrappresentato e hanno compiuto il doloroso viaggio che, progressivamente, li ha resi una forma visibile. Una sola, contro le infinite forme potenziali di cui godevano quando giacevano nel caos originario. Ed ora questa forma, nella sua dignità regale, ti fissa, con uno sguardo da cui non puoi sottrarti, perché tutto quel viaggio è stato compiuto per te. Ora essa non pretende altro che ascolto, perché quegli occhi sono qui per trasmetterti il dolore, inespresso e celato, del mondo.

RUGGERO SAVINIO. PERCORSI DELLA FIGURA

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, 23 Marzo – 27 Maggio 2012,

foto Ruggero Savinio, Doppio ritratto, 1992.

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Avatar

Webmaster - Redattore Cinema

Nessun commento

  1. Pingback: LA SETTIMANA DI CARTAPESTA dal 21 al 27 maggio 2012 | Pensieri di cartapesta

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi