DU LIEBST MICH ZU VIEL
Di e con Helen Cerina
Prodotto da Goue
Copyright foto Enea Tomei
In collaborazione con Choreoroam: The Place London, Operaestate Festival, Dansateliers, Dansescenen, Dance Week Festival Zagreb, Certamen Coreografic de Madrid, Reiss Arti Performative, Daghda Dance Company, Residenza Nottenera
Un ringraziamento speciale a Francesca Gironi
Helen Cerina fa parte della piattaforma Matilde, un progetto della Regione Marche e Amat
24 maggio 2012, h21:30
Teatro Palladium, Roma
Entra in scena, o meglio è già in scena, un corpo ricoperto da una magliettona bianca, sdraiato per terra, inerme. E’ come se tutto partisse proprio da lì, dalla fine, e il percorso si srotolasse al contrario. Morte-rinascita. Rinascita della vita e delle emozioni, rinascita da un lungo sonno cerebrale ed emotivo. Improvvisamente la figura androgina e dai lineamenti nordici (incarnata dalla bravissima coreografa Helen Cerina) si alza in piedi e comincia a volteggiare in maniera assolutamente convulsa e priva di senso. I suoi passé all’indietro sono frenati improvvisamente da capriole e movimenti che necessitano di una maggiore forza di braccia che, appoggiate a terra, regalano una più solida stabilità. Leggerezza-ricerca di solidità. La danzatrice va indietro e poi si getta improvvisamente in avanti. La performance è tutta concentrata sul tema della disconnessione e la stessa concatenazione di disconnessioni di un movimento -a cui ne segue un altro senza nessun filo logico apparente- gioca anche sulla non-logica degli opposti.
Interessante la ricercatezza con cui la giovane coreografa ha mixato un elevato tecnicismo e una finta profanità per entrare in alta simbiosi emozionale con il suo pubblico. Come se volesse calarsi negli occhi di un pubblico ignorante – che poi necessariamente ignorante non è- per mischiarsi profondamente con esso e con le sue emozioni. Non è facile riuscire in tale intento e solo se dotati di grande talento e di una forte empatia si può raggiungere un obiettivo così ambizioso. Assistendo alla sua performance è come se si respirasse il suo sentire, artefatto ma non artificioso. E si respira nel vero senso della parola: Helen, non solo ci fa ascoltare il suo fiato in maniera esplosiva in un crescendo orgasmico, ma addirittura ci mostra, con l’aiuto di uno specchio, due branchie-o presunte tali- proiettate sulla parete. Ma la disconnessione avviene anche dopo l’orgasmo, per poi riportare improvvisamente la ballerina in un gelido mondo di movimenti meccanici.
Scollegamento e allontanamento dalle forti emozioni come desiderio di ritornare in sé. Helen non mette solo a nudo il suo respiro e la sua anima, ma anche tutto il suo corpo –in senso metaforico- facendoci ascoltare i suoi battiti, provenienti dall’urto con un microfono felpato che ricrea echi impressionanti. Suono, movimento e proiezione, dunque, come espressione di un’anima inquieta e alla ricerca del contatto con se stessa. I suoni vengono interrotti staccando addirittura la spina; ma, così come vengono respinti e allontanati, poi si ricercano ossessivamente, appoggiando addirittura il microfono sulla cassa in modo da riprodurre stridii fastidiosi e colpi spaventosi. Helen ci vuole scuotere, farci risvegliare da un torpore; a volte con prepotenza, altre volte provocando in noi una sorta di insana curiosità. Per questa versione rappresentata in occasione della rassegna Teatri di Vetro, Helen ci ha regalato venti minuti di intensa compartecipazione emotiva… o forse sarebbe meglio dire di disconnessione?