Venerdì 18 novembre, nel dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo della Sapienza, si è svolta la presentazione del libro Introduzione a Aby Warburg, di C. Cieri Via, edito da Laterza. I discussants della presentazione sono stati: G. Careri, P. Montani e A. Pinotti.
Il libro si offre come un piccolo ma utile cammino iniziatico a uno dei più grandi pensatori del Novecento. Sarebbe riduttivo, infatti, definire A. Warburg (1866-1929), studioso di S. Botticelli, di A. Durer e degli indiani Pueblo, uno storico dell’arte. In tutti i suoi scritti confluiscono molteplici discipline: antropologia, etnografia, filosofia, religione e, infine, anche la storia dell’arte. Warburg è stato il primo storico di quella che G. Agamben ha definito, giustamente, “una scienza senza nome”, ovvero un’antropologia delle immagini. L’interesse che Warburg rivolge alle immagini non è né artistico, né estetico; è piuttosto un tentativo di comprenderle nel loro carattere intimamente morfologico e semantico. Proprio per questo Warburg indirizza i suoi studi verso tutti quei media in cui l’immagine si esprime: francobolli, fotografie, quadri…
I due nuclei del pensiero warburghiano sono individuabili nelle nozioni di Nachleben, tradotto in italiano con il termine Sopravvivenza, e di Pathosformeln, Formule di pathos. I due concetti possono considerarsi strettamente correlati tra loro. Le formule di pathos sono alcune immagini archetipiche –le ninfe, il serpente, le cosmogonie…- che riaffiorano nelle varie epoche della storia dell’arte permettendo la loro ricombinazione in nuove accezioni semantiche: l’immagine ha, dunque, la capacità di ricaricarsi sempre in nuovi dispositivi significanti.
Per Nachleben, invece, s’intende il sopravvivere di un’immagine anche dopo la sua configurazione in un singolo significato e in un determinato periodo storico. I tre relatori sono concordi sull’errore della traduzione italiana della parola Nachleben. Più che di una sopravvivenza, termine che ci dà l’idea di un’immagine-zombie, bisognerebbe parlare, nel pensiero di Warburg, di una vera e propria vita delle immagini lungo il corso della storia. Le immagini sono anacronistiche, si presentano come sintomo di un determinato momento temporale e testimoniano, sintomatizzano quella stessa congiuntura. Esse fanno la storia: abitano lo storico, lo polarizzano, lo dis-orientano.
Per Careri, l’immagine ha una propria autonomia spazio-temporale e trasformativa. Si scopre così un Warburg che, critico della creatività del genio intesa come creatio ex nihilo, ci presenta, secondo i relatori, un nuovo tipo di estetica. Un’estetica da intendere, per Pinotti, come un impegno estesico del nostro corpo, un’apertura percettiva-ricettiva di fronte alle immagini. Un’estetica che, sottolinea Montani, si trasforma, mediante il prolungamento vitalizzante e storico adottato dalle immagini su se stesse, in un’energetica bipolare costituita da due impulsi: il pathos e la ragione.
Il nostro sguardo non può che posarsi, infine, sulle tavole del Bilderatlas Mnemosyne, opera sterminata in cui alcune immagini archetipiche, di svariate epoche, sono sottoposte, attraverso un montaggio visivo, a una rimodulazione concettuale e storica. Ci si offre così, nello studio warburghiano delle varie tipologie dell’immagine, siano esse culturalmente alte o basse, la figura di un uomo sensibile a tutti i registri artistici possibili e a tutti i media esistenti.
Ciò che fuoriesce dalla presentazione è il ritratto di un Warburg più vicino a F. Nietzsche e a W. Benjamin che a E. Cassirer ed E. Panofsky; una sorta di fratello intellettuale del regista sovietico S. M. Ejzenstejn.
Le immagini vogliono, si rapportano con l’uomo e con il mondo: vivono. Il libro di C. Cieri Via ci permette di accedere al pensiero del loro primo audace condottiero: Aby Warburg, il primo montatore d’immagini anacronistiche.
INTRODUZIONE A ABY WARBURG
Autore C. Cieri Via
Editore Laterza
Foto particolare de La Nascita di Venere di S. Botticelli, dipinto di tempera su tela di lino, 1482-1485; Firenze, Galleria degli Uffizi
Presentazione 18 novembre 2011, Dipartimento di Arte e Scienze dello Spettacolo, La Sapienza, Roma