Buio pesto. Lontana percezione di vagiti angoscianti che rivoltano l’anima, provenienti da una dimensione surreale di inquietante follia. Un cassonetto della spazzatura come l’anticamera dell’oltretomba. Francesca, sepolta lì dentro, indossa solo un sacco nero plastificato. Pallida, immobilizzata, un ruscello di sudore. Il corpo, un groviglio di dolore. Non si riconosce, non si sente. Sarei io questa? Gli arti si staccherebbero volentieri dalle gambe per camminare assieme alle mosche in quella lurida ammucchiata di scarti maleodoranti, di oggetti inutili. Inutili come Francesca, gettata via come l’ultimo degli stracci, non più moglie, non più donna: una poltiglia di carne data in pasto ai topi.
Sei donna, sii forte, sopporta. Una flebile richiesta di soccorso scivola dalle sue labbra disidratate: Mi sentite? Il vuoto. Il nulla. Nuda fine. Così come il corpo, anche la sua anima è bloccata. Né cuore, né fiato. L’unica spia di vita è un frullo nel petto che le fa vomitare materiale vario in uno stato di confuso delirio. Il flash del cadavere di un cane, mutilo, abbandonato sulla strada, le balena nella mente come presagio di morte.
I suoi vaneggiamenti, a limite dell’allucinazione, sono interrotti dalla danza di Maria Carpaneto, alter-ego di Francesca, che si muove libera attorno a lei, seppur in modo tormentato.
La protagonista è bloccata, ma il suo doppio corre freneticamente in uno spazio immaginario e liberatorio, svincolandosi dalla sua pesante corazza. E così, mentre Francesca è pietrificata dall’aggressività del marito, pavido guerriero armato di bastone, l’altra lo scosta, si difende, allontana da sé questo spettro malvagio.
Clara Galante, con il suo incantevole recitar cantando, utilizza l’accoppiata di due nobili arti, danza e lirica, per indagare l’abisso della perversione umana. Dimmi, che faccia ha il male che ti viene da dentro? Dimmi che sogno. Dimmi che quando è troppo atroce mi risveglio.
Chi riuscirebbe a intravedere un barlume di felicità dopo tanta inconcepibile sofferenza? Francesca Baleani ci è riuscita. La vera Francesca, sopravvissuta allo scempio grazie a un provvidenziale passante, è grata alla vita per essere rinata e si nutre della speranza che l’uomo possa essere anche altro rispetto a quello che ha incontrato.
La rappresentazione Non sono stata finita è inserita nella rassegna Scena Sensibile, curata da Serena Grandicelli, che da diversi anni lascia parlare le donne di sé, del loro intricato e meraviglioso mondo interiore.
La XVIII edizione della rassegna, dal titolo Raccontami una storia, raccoglie esperienze tra le più disparate, toccanti e profonde che l’universo femminile possa concepire. Le nuance di emozioni abbracciate da queste storie sono molteplici e garantiscono un viaggio in territori straordinari e misteriosi, talvolta affascinanti altre volte perfino raccapriccianti. Il lavoro di tante eclettiche autrici confluisce verso un unico obiettivo: sintonizzare il pubblico sulle stesse frequenze dell’animo femminile e sensibilizzarlo affinché la donna possa arrivare a esprimersi liberamente anche sul palcoscenico della vita.
NON SONO STATA FINITA
La Scène Bleu, con il Patrocinio dell’Associazione Lilith Donna
Di e con Clara Galante
momenti danzati di Maria Carpaneto
scena Fabio Gasparri; costume Maurizio Galante
Sabato 10 Marzo ore 21
Teatro Studio Argot – Roma