Titolo: Paintings
Autore: Ed Ruscha
Luogo: Gagosian Gallery, Via Francesco Crispi, 16
fino al 17 gennaio 2015
Sino al 17 gennaio la Gagosian Gallery di Roma ospita le opere di Ed Ruscha, uno degli artisti più importanti del panorama americano contemporaneo. La mostra intitolata “ED RUSCHA: Paintings” presenta tele di diversa estrazione, in cui l’artista da un lato riflette sul significato del linguaggio quotidiano e dall’altra medita sulla spazzatura come metafora del passaggio dell’uomo sulla terra.
Nato nel Nebraska nel 1937, dopo essersi diplomato al California Institute of the Arts Ruscha inizia a lavorare nel campo pubblicitario; negli anni ’60 aderisce al gruppo Ferus Gallery, in cui militano artisti come John Altoon, Robert Irwin, Larry Bell ed Edward Kienholz. Nel 1962 partecipa insieme ad Andy Warhol e Roy Lichtenstein alla mostra “New Painting of Common Objects”, curata da Walter Hopps al Museo d’Arte di Pasadena e considerata una delle prime esposizioni dedicate alla Pop Art. Spesso l’arte di Ruscha è stata accostata proprio alla Pop Art o ad altri movimenti quali il Concettualismo e addirittura il Surrealismo; ci sono sicuramente degli elementi in comune reinterpretati però dall’artista in modo del tutto personale.
L’aver lavorato con la pubblicità ha certamente influenzato l’uso della parola nei quadri; di fronte a opere come Hydraulic Muscles, Pneumatic Smiles o Inner-City Make Scream lo spettatore rimane interdetto: è un oggetto d’arte o un cartellone pubblicitario quello che vede? Ad un’analisi più attenta opta ovviamente per la prima definizione e trascendendo l’impatto iniziale, comprende il significato nascosto. Ruscha infatti, giocando sull’ambigua interazione tra linguaggio e immagine, attinge parole dal gergo americano all’apparenza banali, ma che una volta pronunciate suscitano riflessioni sul chi siamo e dove viviamo.
Tali considerazioni nascono anche di fronte ai rifiuti urbani, come in Psycho Spaghetti Western #6 dove una scatola di cartone contenitore di un oggetto informatico, visto il marchio dipinto sopra, giace abbandonato e usurato su un terreno senza avere possibilità di rimpiego. E ancora in Bliss Bucket un materasso usato è poggiato sul ciglio della strada sopra un marciapiede; su di esso si staglia un pentagramma dipinto in prospettiva, che se da un lato accentua la profondità dello spazio dall’altra si impone al pubblico come un enigma. In Gators invece una serie di copertoni fluttuano nello spazio; solo un pneumatico è intero, gli altri si espandono nell’ambiente e sfilacciandosi assumono forme naturali come alberi ed erba; anche in Exploded Crystal Chandelier Headache dietro le parole si scorge uno scatolone con vecchie coperte dentro.
Ed Ruscha, come in un ready-made di Marcel Duchamp, eleva la spazzatura ad oggetto sacro senza toni malinconici, ma piuttosto con constatazione scientifica: l’intero genere umano produce scarti che diventano così un elemento che accomuna tutti, indipendentemente dall’estrazione sociale o dalla provenienza.
Come disse uno dei personaggi ne “Il mistero di Bellavista”, film del grande scrittore Luciano De Crescenzo: ”Dalle Alpi alle Piramidi, dall’Asia ai Pirenei, dammi la tua monnezza e ti dirò chi sei”.