Educazione Siberiana

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La redazione di Pellicole di cartapesta, in collaborazione con la rivista indipendente di critica e informazione cinematografica Cinema Bendato, propone la recensione del film Educazione Siberiana di Gabriele SalvatoresLa recensione è di Noa Persiani.

Educazione siberiana, di Gabriele Salvatores, Ita 2013, 110′

Sceneggiatura: G. Salvatores, S. Rulli, S. Petraglia

Fotografia: I. Petriccione

Montaggio: M. Fiocchi

Soundtrack: M. Pagani

Distribuzione: 01 Distribution

Cast: A. Fedaravicius (Kolima), V. Tumalavicius (Gagarin), E. Tomlinson (Xenja), J. Trukanas (Mel), V. Porsnev (Vitalic), J. Malkovich (nonno Kuzja), P. Stormare (Ink)

1985. Transnistria: Moldavia Orientale. Nel quartiere Fiume Basso. Rituale colmo di principi rigidamente codificati: criminali onesti. Risvolti mistici. Disprezzo dichiarato al denaro e al potere. “Il denaro non deve entrare nelle case perchè è sporco”. Adorazione per religione, armi e tatuaggi. Attenzione costante verso persone con disagi fisici e mentali. Nostalgia pregnante di un mondo che si sta dissolvendo. Eroica e disperata resistenza di un clan dei siberiani. La casa di ogni creatura vivente è il cielo. “Tempra i nostri cortelli”. Montagne del Caucaso innevate da diavoli in divisa. Occhi di fanciulli già cresciuti con una educazione ferma, pronti a trafiggere chi offende le proprie radici. Crescere e definirsi: autodefinirsi nell’altro riconoscendo un proprio sé. Due piccole esistenze che si formano e deformano in una terra di nessuno attraverso lo sguardo guida di un anziano capo. Come I pellerossa. Simboli scolpiti sotto pelle come un riconoscimento verso qualcosa in cui credere. Croci, volti di madonne, cuori spinati, pistole intrecciate… Storie impresse per sempre.

Primi segni di fumo nero che come draghi si alzano in aria: caduta del muro di Berlino, conseguente spartizione dell’Unione Sovietica. Assemblaggio e deterioramento nei rapporti economici e sociali dell’intero pianeta. Dal microcosmo al macrocosmo di vite intrecciate e snodate. Diversi modi di aggrapparsi e affrontare l’esistenza. Uno sguardo verso la conquista. Uno verso la decadenza affiancandosi alla nostalgia dello scorrere del tempo. Violenza corrosiva insistente. “Il giusto non è esistito mai”. Presto o tardi non si saprà più di cosa si avrà bisogno per andare avanti. Non credere in nulla e permettersi di fare tutto. “Ho deciso di seguire il sole”. Nella tana del seme nero polvere bianca ad offuscare la mente. Il codice si spezza nelle mani di una pelle candida, capelli rossi e occhi di smeraldo. Il sangue al cervello grida vendetta. Permettere alle armi di compiere un destino voluto dallo stesso capo del clan. “Mi hanno insegnato che la vita è una guerra e ora lo so”.

Tratto dal romanzo di Nicolai Lilin, il film del regista napoletano è un’opera frammentata in tre diversi momenti particolari della vita dei protagonisti e della storia dell’umanità in generale. Lo stile è espressivo ed intenso. Fotografia attenta nel dettaglio, trasparente emozioni nei corpi. Declamato, rimbombante e scarno, l’uso della violenza più volte ingiustificato. Per spingere all’azione del western si perde in compattezza poetica nonostante suggestioni letterarie. Malkovich, grande interprete riconosciuto, spella il suo personaggio per entrarvici completamente: ha la verità cucita addosso. La musica originale di Mauro Pagani è intima e strumentale, in armonia con l’ambiente e le voci legate alla tradizione. Un mondo di contrasti: dove l’unico spazio libero lasciato da palazzi grigi di architettura sovietica è una piccola giostra colorata accesa e funzionante come un’astronave venuta da lontano per custodire immagini serene trascinate dalla musica meravigliosa di David Bowie, una musica per quel popolo aliena.

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