Dal 10 al 19 maggio 2013 è in scena al Teatro dell’Orologio l’ultimo lavoro di Elvira Frosini: Digerseltz. L’autrice e performer, propone al pubblico una riflessione sul ruolo del cibo e dell’appetibilità nella società contemporanea e di come questo influenzi la moderna visione dell’arte e dell’artista.
Digerseltz
drammaturgia e regia: Elvira Frosini
collaborazione artistica: Daniele Timpano
progetto luci: Dario Aggioli
assistente alla regia: Alessio Pala
materiali di scena e progetto grafico: Antonello Santarelli
Dal 10 al 19 maggio 2013 – Teatro dell’Orologio, Roma
Elvira Frosini, dopo una iniziale formazione nell’ambito della danza, si dedica al teatro, fondando il laboratorio Kataklisma, e presentando dal 2006 a oggi sui palcoscenici italiani produzioni in qualità di autrice, regista e attrice. Le sue opere percorrono il tema comune dell’incisività di convenzioni sull’identità individuale e i rapporti di potere che si instaurano tra la sovrastruttura sociale e il singolo.
Segue la traccia di queste riflessioni anche la sua ultima opera, Digerseltz e in particolare, Elvira Frosini affronta questa volta il tema della voracità. La riflessione dell’autrice parte dalla voracità nell’alimentazione che, nata in tempi antichi come bisogno naturale dell’uomo, ha subìto fino ad oggi incisive variazioni, allargando il suo campo semantico e acquisendo una significatività distorta di cui l’essere umano si ritrova ad essere vittima.
«Mangiare è una forma di dominio, un atto simbolico in cui si afferma la propria presenza e persistenza nel mondo» – afferma la performer; e tale è stato l’atteggiamento che ha innalzato quest’atto elementare al livello di vero e proprio rito. L’acquisizione di cibo è diventata per l’uomo l’affermazione della propria vitalità, l’atto simbolico per dimostrare al mondo la propria «momentanea vittoria sulla morte» e che è infine degenerato nella spettacolarità di cui l’era contemporanea ha intriso ogni manifestazione sociale.
Elvira Frosini unisce così alla critica al valore eccessivo attribuito alla celebrazione della nutrizione, una critica aggressiva alla spettacolarità della socialità famelica che muove l’uomo contemporaneo, tentato più dall’appetibilità che dal desiderio vero e proprio dell’oggetto. Indossando un’appariscente parrucca bionda, impersona la donna contemporanea, più di tutti vittima di questo meccanismo, che si muove nella società dell’apparenza nel frenetico e sgraziato tentativo di meravigliare gli astanti e ingozzarsi di sguardi.
Il contributo dell’artista, e in particolare dell’artista di teatro, l’attore, è in questo senso fondamentale: egli si offre in sacrificio alla tavola del pubblico e lascia che i testimoni della sua opera fruiscano di ogni suo gesto. «L’attore si offre al suo pubblico come cibo, compie il gesto simbolico di mangiare in mondo» e per questo ha l’opportunità di riportare il rituale al proprio senso originario, in modo che il mangiare e lo spettacolo non siano più fughe, ma vie per una presa di coscienza dell’essere umani.