da Henrik Ibsen drammaturgia e regia Emanuela Giordano con Mascia Musy, Stefano Santospago, Alessandra Fallucchi, Graziano Piazza musiche originali Antonio di Pofi aiuto regia Valentina Minzoni produzione ARGOT PRODUZIONI 11 febbraio 2016, Teatro India, Roma
Quartetto casa di bambola è una pièce raffinata ed elegante di Emanuela Giordano a quattro voci che lavora, non solo il celebre testo di Ibsen, ma anche l’impatto che ebbe sull’ambiente teatrale di quel periodo per l’inusuale comportamento della protagonista, Nora. Da un lato moglie fedele e prodigata al marito, capace di rischiare legalmente pur di aiutarlo, dall’altra donna che, ferita nell’orgoglio ed umiliata da dure parole, decide di abbandonare la famiglia per vivere altrove, dove forse le sue azioni non verranno reputate scontate e il suo amore incondizionato sarebbe un tesoro di cui avere cura e rispetto.
E’ questo nodo del personaggio a creare un ostacolo insormontabile: reputando questo allontanamento che la protagonista attua nel finale moralmente sconveniente ed improponibile, furono tre i finali proposti pur di evitare lo scalpore. Le stesse attrici si ribellarono a quanto scritto dall’autore, temendo di non piacere al pubblico per il tipo di ruolo incarnato. Mettere in luce gli equilibri intimi all’interno della coppia, in un gioco che ha come regole il potere, il possesso, l’erotismo e il denaro, era la grande intuizione del testo di Ibsen, di fronte ad una società che continuava a negare questi sottili meccanismi di perversione e controllo.
Emanuela Giordano ci racconta di questi tre finali – che non furono mai messi inscena –, attraverso l’interpretazione dei quattro attori, Mascia Musy, Alessandra Fallucchi, Graziano Piazza e Stefano Santospago. Il loro interloquire e relazionarsi, creando un sottile legame con il pubblico con degli a parte brevi e concisi che descrivono il personaggio e focalizzano sul tipo di azione-reazione creata in quel determinato momento del testo, ci porta inesorabilmente alla conclusione che il finale originario, pensato dalla penna di Ibsen e tanto osteggiato, è in definitiva l’unico possibile. Non c’è scampo: la reazione di Nora, quella di abbandonare la casa nella quale è una bambola fra le mani del marito che la fa agire, è l’unica organica. Rendersi conto di non avere dei fili alle braccia governati da quell’uomo che si maschera come suo amore è una rivelazione.
Il lavoro degli attori è ipnotico. L’amore per il proprio personaggio, che difendono e cercano di comprendere nel pensiero-azione, è una qualità ammirabile. Loro stessi, percuotendo un pianoforte – unico elemento di scena – accompagnano il ritmo e creano l’atmosfera della messa in scena, mentre le luci, efficaci nella scelta registica, creano gli ambienti necessari all’azione, contribuendo a rendere cupo e solitario l’agire di quelle figure, che molto parlano ma poco comunicano.
L’allestimento rinvigorisce le parole di Ibsen, che appartiene a quella piccola famiglia di drammaturghi che con la scrittura ha rivoluzionato il grande mondo del teatro, portandovi la crisi, l’incomunicabilità, la difficoltà. Ciò che ci rende umani, ma che è difficile accettare.