A partire dal 19 settembre è proiettato nelle sale italiane Via Castellana Bandiera: il primo lavoro cinematografico di Emma Dante, premiato a Venezia con il Premio Soundtrack Stars per la colonna sonora e con la Coppa Volpi per la disarmante interpretazione di Elena Cotta.
Via Castellana Bandiera, di Emma Dante, Ita, 2013, 94’.
Sceneggiatura: Emma Dante e Giorgio Vasta, in collaborazione con Licia Eminenti
Fotografia: Gherardo Grossi
Montaggio: Benni Adria
Scenografia: Emita Frigato
Produzione: Vivo Film, Wildside, Ventura Film, Slot Machinecon Rai Cinema
Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà
Produttori: Marta Donzelli, Gregorio Paonessa, Mario Gianani, Lorenzo Mieli, Elda Guidinetti, Andres Pfaeffli, Marianne Slot
La prima opera cinematografica di Emma Dante porta evidentemente i frutti della sua esperienza come drammaturga e regista teatrale: gli attori parlano di una perizia tecnica quasi perfezionista nella preparazione delle riprese e di un lavoro sul personaggio che inevitabilmente diventa un percorso interno, una sfida con se stessi. Due caratteristiche del metodo di lavoro di Emma Dante scovati dalla giuria della Mostra del Cinema di Venezia, che ha premiato con il Premio Soundtrack Stars un film praticamente privo di colonna sonora e con la Coppa Volpi il personaggio impersonato da Elena Cotta – la cui parte prevede due o tre frasi per l’intera durata del film.
E’ un film che, proprio in virtù della sua sensorialità, colpisce lo spettatore nella memoria emotiva che lo lega a luoghi, eventi e comportamenti già vissuti. La storia comincia in medias res, avvicinandosi in modo quasi documentaristico alla vita di quelli che diventeranno i personaggi principali e permettendo così di entrare in contatto con loro più che nella condivisione di ideologie o personalità, nel riconoscimento di una gestualità familiare.
Nella breve sequenza iniziale Samira, il personaggio di Elena Cotta, abbraccia e riposa su un letto tombale e questo basta a riassumere il suo rapporto vitale con la morte; parimenti la rabbia di Rosa – interpretata da Emma Dante – per la perdita di senso d’orientamento nelle strade della labirintica Palermo è sintomo di un rapporto mortale con la vita. Ed è in questo sguardo distante eppur dettagliato sul presente, nella volontà di tacere dietrologie e psicologismi legati al passato, che la regista fa del passato il vero protagonista: dinamica puntualmente sintetizzata nella citazione di Giorgio Caproni che Emma Dante sceglie a conclusione del film «Non c’ero mai stato./ M’accorgo che c’ero nato».
In via Castellana Bandiera, ai piedi del monte Pellegrino che sovrasta il golfo di Palermo, si scontrano le ferite delle due donne e le civiltà opposte da cui provengono: una, bandiera di modernità, emigrata al Nord Italia, il cui modo di vivere è stato scelto a dimostrazione di una ampiezza di vedute conquistata; l’altra, un’anziana di Piana degli Albanesi, radicata nella tradizione e nella storia, dimostrazione del conservatorismo come stile di vita.
«Volevo raccontare una città di montagna», precisa Emma Dante; ed effettivamente è uno scontro che ha tutti i connotati di un western e che, nonostante abbia il mare a due passi, si radica nell’entroterra e odora della polvere della strada, come la cornice che gli fa da contorno. Parte della cornice sono i rumori, una vera e propria colonna sonora – insieme alla premiata sigla finale Cumu è sula la strata dei Fratelli Mancuso -, più che mai l’uso spietato del dialetto e le comparse ed alcuni attori non professionisti scelti dalla regista per la spontaneità nel ruolo assegnatogli – tra questi ultimi Renato Malfatti e Dario Casarolo.
E’ quella strada, e più in generale la strada come dimensione di popolarità a trascinare la storia ed i suoi personaggi, che impastano le loro personalità nel fango della terra e che solo nella spossatezza del finale sapranno spolverare delle costruzioni di cui li ha aggravati l’esistenza, magari accorgendosi solo, evidente nell’inquadratura finale, che la strada è più larga di come la si vedeva prima.
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