4 luni, 3 săptămăni şi 2 zile,128′ Romania 2007,
Regia Cristian Mungiu,
Soggetto e Sceneggiatura Cristian Mungiu,
Casa di produzione Mobra Films,
Fotografia Oleg Mutu,
Montaggio Dana Bunescu,
Scenografia Mihaela Poenaru,
Interpreti Anamaria Marinca, Vlad Ivanov, Laura Vasiliu, Alexandru Potocean.
Film dal fortissimo impatto, visto anche il difficile periodo storico della Romania in cui è ambientato, ossia gli ultimi anni del regime di Ceauşescu, 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, del regista Cristian Mungiu, affronta principalmente una tematica mai semplice come quella dell’interruzione di gravidanza, specialmente se, oltre ad essere collocata alla fine degli anni ’80, le protagoniste sono due giovani studentesse. Invischiate in un calvario molto più grande di loro, soprattutto per colei che si trova concretamente ad affrontare l’aborto, il film non lascia spazio a giudizi o a prese di posizione, ma vuole farci vedere quanto fosse disgraziata la situazione in un paese dell’est Europa represso dalla dittatura comunista. La diegesi è così forte perché realmente sincera nella sua costruzione, non si avvale di metafore o mezzi termini. La drammaticità della vicenda è schietta, così come ci viene mostrata. Lo spettatore è portato a riflettere non solo sulla specifica questione etica, argomento sempre attuale, ma anche sui metodi illegali e crudi a cui le ragazze dovevano sottoporsi. Da questo punto di vista, la riflessione si rivolge anche alle problematiche legate alla gestione politica di tali situazioni, spigolose per un governo dittatoriale comunista, come in questo caso, ma anche per qualsiasi governo democratico.
La bravura del regista, che ha curato anche la sceneggiatura, è di non aver appesantito la rappresentazione di tematiche così forti con l’utilizzo di strutture cinematografiche complesse. Inquadrature secche, come fossero quadri, dove gli interpreti non hanno bisogno di forzature, ma di essere semplicemente se stessi dentro una situazione che li ingabbia. Lo spettatore, in altri momenti, si trova ad assistere ad alcune fondamentali scene proprio come se il tempo del racconto coincidesse col tempo della storia, provocando così un profondo senso di ansia. E’ il caso della cena a casa del fidanzato di una delle co-protagoniste (Anamaria Marinca), la quale si trova lì dopo aver lasciato l’amica (Laura Vasiliu) da sola nella stanza dell’albergo mentre sta abortendo. Quindici minuti intensissimi, durante i quali l’inquadratura rimane fissa su di lei, seduta con gli altri, raccolta in un silenzio di preoccupazione. In altri momenti, invece, l’ansia passa attraverso la corsa, indecisa e affannata, di Anamaria Marinca, la quale tiene nascosto nella propria borsa il feto abortito, di cui deve disfarsi al più presto ma il più lontano possibile. La macchina da presa libera è influenzata dai bruschi movimenti e cambi di direzione che fa la ragazza, trasmettendoci un senso di fatica, come se anche noi stessimo correndo insieme a lei. Ad aumentare tutto ciò contribuisce anche il buio della notte, vera protagonista sul piano scenografico di queste ultime scene.
Una tematica principale impegnativa, dunque, per il film vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes nel 2007, arricchita da uno stile cinematografico per niente pesante e, anzi, avvalorata da una regia e da una fotografia sapienti, che fanno sentire lo spettatore immerso nella vicenda insieme alle protagoniste, facendogli percepire la stessa fatica. Importante è il fatto che il film non prenda una precisa posizione a vantaggio o contro l’aborto, ma si limiti a mostrare: tutte le riflessioni e le considerazioni vengono lasciate agli spettatori.