Precious, 110′, USA 2009,
Regia Lee Daniels,
Sceneggiatura Geoffrey Fletcher,
Fotografia Andrew Dunn,
Musiche Mario Grigorov,
Montaggio Joe Klotz,
Produzione Lee Daniels Entertainment, Smokewood Entertainment Group,
Interpreti Gabourey Sidibe, Mo’Nique, Paula Patton, Mariah Carey, Lenny Kravitz, Sherry Sheperd.
America, pieni anni ‘80: nera, obesa, sedici anni, si chiama Clareece Jons (Gabourey Sidibe), detta Precious. Dall’età di tre anni il padre abusa sessualmente di lei, lasciandola incinta due volte: la prima bimba è affetta da sindrome di down, il secondo figlio è in arrivo. La madre (Mo’Nique) sa tutto e non riesce a reagire se non incolpando la figlia: le usa violenza, fisica e psicologica, la crede una rivale perché le ha rubato l’uomo da cui Precious ha avuto più figli di lei, vorrebbe che abbandonasse lo studio e che si preoccupasse solo di spillare denaro ai servizi sociali. Nonostante l’inferno domestico che la circonda, Precious sogna di meglio per sé e i suoi figli. Ma la ragazza è quasi analfabeta: derisa, emarginata e presa di mira dai compagni di classe per il suo aspetto fisico oltre che per la sua ignoranza, viene cacciata da scuola dopo la scoperta della sua seconda gravidanza. Così decide di iscriversi ad una scuola alternativa in cui vengono accolte molte ragazze con vite disagiate e trascorsi più o meno turbolenti. Qui trova una nuova casa e una nuova famiglia, con persone che si interessano a lei sinceramente Per Precious la strada per riprendere in mano il proprio destino inizia da qui: a partire dal bimbo che aspetta.
Diario crudo, senza mezze misure, quasi emblematico, più che naturalistico, di un aspetto della vita sociale di parte della comunità afroamericana, non marginale, eppure trattata come tale, di cui è raccontata una storia non inverosimile, eppure difficile da immaginare per la sua barbarie. L’ intenzione è stata quella di lasciare aperto qualcosa, fare spazio, spalancare la mente e i sensi ad una storia che è un’odissea del dolore a lieto fine, in cui la speranza non scolora mai e la capacità di trasportarsi altrove dimostra l’inquantificabile istinto di sopravvivenza e la forza di volontà che scorrono costantemente nei meandri fisici e psichici degli uomini, specie se si tratta degli ultimi della società, poiché sono loro più di altri a saper, e a sapersi, ascoltare. L’intelligenza umana, fisica e spirituale, è un’energia che non si può illudere, né spezzare: può solo appannarsi, come accade a Precious nei suoi sedici anni di vita. Ma ciò di cui il mondo priva, presto o tardi torna al legittimo proprietario e tanto più si è onesti con se stessi, tanto prima questo momento arriva. Si smette di sopravvivere e si inizia a vivere. Così Precious non si immagina fisicamente come non è o idealmente dove non potrà mai arrivare: la forza dei suoi sogni ad occhi aperti, che irrompono sullo schermo come paradossi nei momenti di maggiore violenza della storia, la portano ad avere quella fede in se stessa che nessuno di noi avrebbe scommesso potesse trovare.
In tal modo la sceneggiatura (Premio Oscar) lega sublime e bestiale in un’altalena di emozioni: si costruisce un sogno, nonostante il marcio. E’ un saggio alternarsi di differenti toni che seguono veloci la trama, pulita, che non predica né ostenta, ma marcia verso un riscatto che più si precipita, più si desidera, poiché appare la sola alternativa percorribile. Con ritmo incalzante, la giovane attraversa il suo personale campo di battaglia senza paura. Le inquadrature sono lucide, ruvide, la messa a fuoco a volte è centrata, a volte no, come in un documentario dal vivo, e la narrazione non appesantisce né impietosisce poiché l’empatia è ricercata non nel male, ma nel bene, non nel buio, ma nella luce. La guerra non è finita, ma da quel campo di battaglia Precious è fuori. E noi con lei. Una lezione di vita, un coraggio da emulare: non a caso tra i produttori esecutivi della pellicola figura anche la nera, ricca e popolarissima giornalista Ophrah Winfrey, che ha preso molto a cuore il progetto avendo lei stessa aperto una scuola per ragazze povere in Sudafrica. Plauso particolare alle interpreti femminili, splendide e determinanti: impressionante l’esordiente Gabourey Sidibe (nomination come miglior attrice protagonista) dallo sguardo inflessibile e dal sorriso commovente; difficile dimenticare anche la madre, Mo’nique (Oscar come Miglior Attrice non protagonista), feroce e fragile, ad un passo dalla schianto, che passa dalla crudeltà all’amore con un semplice respiro e due occhi di una luce implacabile. Ottimi comprimari Mariah Carey e Lenny Kravitz.
Prende al cuore Precious, forse più all’immaginazione e là resta: sembra dire che la favola nata nera, tutta nera poi non è, che il peggio forse in fondo non esiste e che i lieti fini sono terre di conquista.