En Attendant Cannes: TAKE SHELTER

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Take Shelter, USA, 2011,

Durata 120′,

Regia Jeff Nichols,

Sceneggiatura Jeff Nichols,

Soggetto Jeff Nichols,

Montaggio Parke Gregg,

Fotografia Adam Stone,

Musiche David Wingo,

Produttore Tyler Davidson, Sophia Lin,

Interpreti Michael Shannon (Curtis LaForche), Jessica Chastain (Samantha LaForche), Katy Mixon (Nat), Shea Whigham (Dewart), Kathy Baker (Sarah), Ray McKinnon (Kyle), Lisa Gay Hamilton (Kendra), Tova Stewart (Hannah LaForche), Stuart Greer (Army/Navy Dave)

“La natura mi è sembrata l’antagonista appropriata perché non la puoi biasimare, no? Nel grande schema delle cose, queste non sono tempeste che inseguono Curtis, sono tempeste che accadono e basta”

Il 2011 verrà ricordato come l’anno della riflessione di due grandi cineasti sul legame tra l’uomo e la natura. Quella ostile di Melancholia di Lars Von Trier e quella più poetica di The Tree Of Life di Terrence Malick. E’ all’ombra di questi giganti che Take Shelter si è presentato nelle sale – nessuna di queste in Italia – riscuotendo comunque un ottimo successo, con la selezione ufficiale del Sundance Film Festival prima, e, in seguito, con il Gran Premio Settimana Internazionale della Critica a Cannes.

Curtis LaForche – uno straordinario Micheal Shannon – incarna l’uomo medio americano, costretto a scontrarsi con i problemi quotidiani, tra i quali spiccano le particolari attenzioni rivolte alla piccola Hannah, sordo-muta fin dalla nascita.

E’ in questo contesto che Curtis comincia ad avere allucinazioni e sogni premonitori che lo mettono in guardia su una fantomatica tempesta apocalittica in arrivo.

Viene facile vedere lo spettro della tempesta in Take Shelter come l’ingombrante figura metaforica della crisi che da lì a poco avrebbe messo in ginocchio il paese; talmente facile che finisce per diventare la chiave di lettura più banale, capace di liquidare il resto in secondo piano.

Se si guarda Take Shelter più attentamente, invece, ci si rende conto di come la tempesta, fuori dalla giurisdizione dell’uomo – al contrario della crisi americana -, diventi solo la causa scatenante dell’ansiogena discesa di Curtis nella sua presunta – in fondo non lo sapremo mai con sicurezza – paranoia. Vero fulcro centrale diventa così la famiglia LaForche, e il suo modo coeso di affrontare l’instabilità che man mano incrina la loro vita perfetta.

La presa di coscienza da parte di Curtis di avere dei problemi psichici si muove in un incastro classico tra sogno e realtà che pone l’attenzione non sulla malattia in sé, ma su come essa si ripercuota all’interno del nucleo familiare, capace nonostante tutto di restare unito.

E poco importa se nel finale, aperto a più di qualche interpretazione, la rivelazione di Curtis possa accadere o meno, perché di fronte a qualsiasi ostacolo la famiglia LaForche ha ormai dimostrato di poter affrontare insieme il futuro e il suo carico di minacce inquietanti.

Al centro del racconto di Nichols, insomma, non c’è né la discesa nella paranoia né la paura per un paese al collasso, c’è, piuttosto, il tema della famiglia, focalizzata sulla paura di perdere quanto faticosamente costruito. Una paura così subdola da concretizzarsi per arrivare a minacciare la serenità quotidiana.

Se è vero che il film non brilla per nessuna invenzione registica particolare mantenendo un tono sobrio e aggirando bruschi salti climatici, la bravura di Nichols si vede nella consapevolezza con cui si destreggia in ogni scena evitando di risultare stucchevole e donando forte pathos, soprattutto nelle scene che coinvolgono il rapporto tra i genitori e la piccola bambina.

Un regista maturo, sicuro dei suoi mezzi, che con Take Shelter, a seguito del primo Shotgun Stories, si presenta come un fenomeno tutt’altro che passeggero.

Aspettiamo allora Mud, in presentazione al nuovo Festival di Cannes, così da vedere se sarà finalmente capace di affermarsi al grande pubblico e di non rischiare di finire, è il caso di dirlo, come una tempesta notturna che si disperde nel mattino

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