Gino Ruozzi, docente di Letteratura italiana all’Università di Bologna, offre un ritratto completo del poliedrico Ennio Flaiano. Dalla narrativa alla poesia, dal cinema al teatro, l’arguzia di Flaiano ha impresso un marchio inconfondibile al costume italiano del secondo Novecento.
Titolo: Ennio Flaiano. Una verità personale
Autore: Gino Ruozzi
Editore: Carocci
Anno I ed.: 2012
Ennio Flaiano nasce a Pescara nella stessa via di Gabriele D’Annunzio e per tutta la vita perseguirà una poetica opposta a quella del Vate. Non ci sono eroi nel mondo letterario di Flaiano; la sua pioggia non sublima gli amanti nel pineto, ma è la banale pioggia della città, quella che non piace a nessuno. La figura dello scrittore perde l’aura sacerdotale ed invita nella quotidianità alla pulizia, alla riduzione, facendosi rappresentante della sana mediocrità.
È il 1922 quando viene mandato in collegio nella capitale: Flaiano compie la sua marcia su Roma. A parte qualche breve interruzione, Roma, sospesa tra la metropoli e la provincia, sarà la sua città. Flaiano comincia a far sentire la propria voce sui giornali e per quarant’anni continuerà ad esplorare tutte le forme di scrittura giornalistica, dalla recensione al saggio, su quotidiani, mensili, testate generali e specializzate. Lui stesso disse che avrebbe voluto essere ricordato come un cronista, per la tendenza alla brevità e alla chiarezza. Il caso particolare si fa costantemente spunto per una riflessione generale, i toni sono quasi sempre moralistici e l’ironia lucida e amara. I suoi articoli sono un esempio di giornalismo colto, mai saccente né erudito; il culto delle citazioni diventa in Flaiano ricchezza di riferimenti, in un continuo dialogo tra passato e presente. Spiccano, su tutte, le collaborazioni con Il Mondo, l’ Europeo e il Corriere della Sera e tra gli incontri umani e culturali, quello con Mario Pannunzio, il direttore per antonomasia, è stato di certo il più significativo.
La notorietà arriva solo nel 1947, anno in cui viene pubblicato l’ unico romanzo di Flaiano: Tempo di uccidere. Il libro, scritto in soli tre mesi e tanto voluto dall’editore e amico Leo Longanesi, vinse la prima edizione del Premio Strega. Ambientato in un’Africa di cartapesta, dai contorni insieme reali e fittizi, Tempo di uccidere è scritto sulle ceneri del fascismo, come atto di riflessione e di liberazione degli italiani dalla lunga storia della dittatura. Quella coloniale, sul nascere della repubblica, è vista come una guerra già segnata dalla sconfitta e i personaggi sono tutti perdenti, vittime della vita e del destino.
Il rapporto tra verità oggettiva e verità riflessa, già al centro del romanzo, continuerà a caratterizzare la produzione di Flaiano anche successivamente, trovando il proprio luogo naturale nel teatro e nel cinema. È la verità poetica: elaborata, pensata e creata dall’arte, essa è la verità dell’intelligenza, che si oppone a quella emotiva, stigmatizzata come pornografia sentimentale. La passione per il teatro è dunque fortissima; in esso viene messa in scena una falsità molto più autentica della realtà -da qui la predilezione per la farsa-, la superiorità dell’arte sulla natura. I fondali di carta teatrali incarnano la possibilità di inventare altre esistenze, un’altra ipotesi di noi stessi, una vita di ricambio. Anche il fortunato sodalizio cinematografico con Federico Fellini e Tullio Pinelli è improntato all’analisi della verità riflessa, che ne La Dolce vita raggiunge la maturità, segnando una svolta epocale nella storia del cinema. Nonostante l’amore nutrito da Flaiano per queste due arti, non sono mancate nella sua carriera delusioni anche molto cocenti, come quella della rappresentazione teatrale del suo racconto più noto, Un marziano a Roma. Le polemiche furono talmente aspre e le reazioni così scandalizzate, che la farsa fu rapidamente cancellata dal cartellone. Grandissimo dolore è provocato anche dal naufragio di Melampo, soggetto che Flaiano aveva scritto per un film. Il suo film.
Quella di Ruozzi è dunque una testimonianza e una riflessione importante sul senso dello scrivere per Flaiano, oltre che una riuscita riabilitazione della figura di questo autore, troppo spesso sottovalutato. E che, nonostante tutte le amicizie e le collaborazioni preziose, sembra votato alla solitudine. La solitudine del satiro.