di Edna Mazya
regia Enrico Maria Lamanna
assistenti alla regia Cecilia Mati Guzzardi e Vladimir Randazzo
con Elisabetta Mirra, Brenno Placido, Davide Schiavo, Jacopo Carta, Matteo Bossoletti
scene di Chiara Paramatti
costumi Teresa Acone
luci Marco Macrini
musiche Francesco Verdinelli
Roma, 22 marzo 2019, Teatro Marconi
Il Teatro Marconi ha di recente ospitato nella sua stagione Voci dal cortile di Edna Mazya, autrice e drammaturga israeliana che nel 1993 ha scritto questo testo prendendo ispirazione da un fatto di cronaca violento avvenuto a Hibbutz Shomrat nel 1986: lo stupro di una giovane adolescente da parte di quattro ragazzi leggermente più grandi di lei.
Enrico Maria Lamanna prende il testo e lo trasla in Italia a Roma ed è questa l’unica azione evidente del regista in merito alla messa in scena. La maggior parte del messaggio dello spettacolo, il diverso senso di solitudine che emerge dai cinque personaggi e i loro tratti caratteriali, la perversione del gioco erotico e il ricatto sottile che la protagonista vive sono principalmente portati avanti dalla drammaturgia. Quelli che sono gli atteggiamenti dei personaggi che vivono sulla scena sembrano essere scelte indipendenti degli attori stessi piuttosto che indicazioni registiche fatte al millimetro, tanto che ciò che ne deriva è una perdita continua di ritmo. Questo è da attribuirsi più alla mano e all’occhio esterno del regista che al lavoro attoriale, che ne è stato purtroppo compromesso. Infatti senza essere diretto e senza avere un confine chiaro entro il quale agire è portato inevitabilmente ad un’interpretazione autogestita che rischia di essere vuota: così i personaggi sulla scena attano come esseri coinvolti in uno stupro perché così dice il testo ma sono la sola superficie della violenza; mostrano nei gesti dei “buchi” affettivi adolescenziali ma li rendono macchietta; esagerano nell’esprimere emozioni perché lasciati da soli a combatterci. Poche le indicazioni sui volumi della voce, che per alcuni interpreti non superava la quarta fila e che risultava eccessiva nelle urla. Questo testo richiede una tridimensionalità che renda vero ciò che accade sul palco, partendo da un’atmosfera che diventa sempre più pesante, che trasforma il cortile dei giochi in un luogo d’orrore, dove l’innocenza, i primi pruriti vengono violati e distrutti brutalmente. Tutto quello che è uscito fuori da questa struttura bidimensionale, che è riuscito a toccare emotivamente e a portare lo spettatore in ansia o in rabbia per la situazione è unicamente frutto del lavoro dei cinque attori in scena.
A buttare giù ulteriormente il ritmo dello spettacolo sono stati i cambi di scena poco funzionali, l’utilizzo di oggetti inutili – il candelabro, che potrebbe essere legato ad una qualche simbologia ma che viene totalmente tralasciato -, l’altalena bloccata che smorza ulteriormente la dinamica della scena. Forse queste scelte mirano a rendere ancora più incomprensibile il motivo di una violenza che effettivamente non ha alcun senso, che è il risultato estremo di un capriccio di bambini.
A dare infine l’ultimo colpo è la musica composta da Francesco Verdinelli, didascalica, senza pathos, totalmente priva della possibilità di creare un’atmosfera. Se quella poteva essere una carta capace di costruire l’incubo, utile anche nel suscitare agli attori i pattern emotivi su cui muoversi per costruire l’azione e rendere tutto più denso, si è rivelata un peso morto.
Il testo di per sé ha delle potenzialità infinite, ma prevede un’enorme dose di coraggio da parte di chi vuole portarlo in scena e costruirlo, soprattutto per il tema spinoso, doloroso e purtroppo sempre attuale che affronta.
C’è bisogno di spettacoli che affrontino orrori quotidiani che si realizzano nelle città del mondo, ma c’è bisogno anche di un nuovo modo di portarli in scena, partendo dal come realizzarli e soprattutto dal perché. Le storie dell’uomo, dalle più efferate alle più dolci, non hanno una sola sfumatura di colore, ma si perdono in contraddizioni che lasciano perplessi e che spaventano: sulla scena più che mai queste luci ed ombre devono vivere ed essere tirate fuori utilizzando tutti i mezzi possibili, orchestrando più medium espressivi che viaggino tutti nella stessa direzione.