di Enzo Cosimi interpreti Paola Lattanzi e Pablo Tapia Leyton musica Chris Watson luci Gianni Staropoli Teatro India, 15-17 dicembre 2015
I residui, nel Manifesto del Terzo Paesaggio di Gilles Clément, sono “diversità specifica eterogenea (indigena + esogena); specie instabili; endemismo debole”. E i limiti di un Terzo Paesaggio, di un Terzo Stato, si tracciano lungo una superficie d’incontro tra i residui e le aree di sfruttamento.
Il buio e il rumore, il magnetismo dei corpi, la geometria coreografica e due scatole bianche. Non servono altri elementi per raffigurarsi lo spazio della mente. La vita della mente, che resta oscura e chiusa nel corpo di ciascuno, viene qui trasfigurata. Nello spazio scenico di Fear Party viene alla luce una domanda per tutti: come si esprime la paura? Violenza autodistruttiva, forza liberata senza scopo, fascinazione per essere assoggettati a un potere e sentirsene parte, sono passioni che qui ritrovano anche la forma di esperienze collettive. La paura non è un’esperienza privata: fa parte di una vita della mente che abbiamo in comune.
Gli animali che hanno paura sono tesi. Paola Lattanzi e Pablo Tapia Leyton hanno nervi tesi fino a estreme possibilità fisiche. Fasci di nervi, forza ritratta, disciplinata e trattenuta che al momento giusto esplode nella voce. L’animale umano ha questa caratteristica: la sua paura può diventare la forza di un linguaggio. Per questo, con Fear Party si mostrano passioni che trasfigurano la paura in forza, disponibili per essere usate e impiegate a vincere un isolamento precario e irreale.
Fear Party misura il peso della paura e lo sposta, dalla mente chiusa e personale di ognuno, al movimento e alla relazione. Una relazione a due, eterogenea, d’amore e nervi, d’odio e mutuo soccorso. Claustrofobia reciproca. Il corpo dell’altra, il corpo dell’altro, è gabbia e liberazione. La paura non è un’esperienza privata. La paura è un’esperienza a dimensioni multiple: spaziale, cognitiva, fisiologica, dialogica e collettiva.
I luoghi abbandonati dalla produzione sono aree già sfruttate e diventate inutili, ma sono anche una superficie d’incontro tra specie instabili. Come il Teatro India, che ha ospitato l’opera. Questi spazi possono diventare territori in cui rifugiarsi, in cui si produce una nuova ricchezza, legata alle forme simboliche e culturali della vita. Come accade nello spazio scenico di Enzo Cosimi, che mostra quant’è falsa l’idea di una coesistenza pacifica, ma anche, come riconoscere le paure collettive per costruire nella catastrofe residuali spazi di vita.