Dopo l’apertura del festival che ha visto come protagonista la danza di Sylvie Guillem, continuano gli appuntamenti della nona edizione di Equilibrio. Festival della nuova danza 2013. Alì e Hèdi Thabet presentano il loro nuovo progetto: Rayahzone.
Rayahzone Ideazione e coreografia: Alì Thabet, Hèdi Thabet Con: Alì Thabet, Hèdi Thabet, Lionel About Direzione musicale: Sofyann Ben Youssef Voci Soufi tunisine: Mehdi Ayachi, Mourad Brahim, Nidhal Yahyaoui, Walid Soltan Produzione: Thèatre de Suresnes Jean Vilar Coproduzione: Les Thèatres de la Ville de Luxembourg5 febbraio 2013 – Equilibrio. Festival della nuova danza, Auditorium Parco della Musica, Roma
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Il 5 febbraio gli ospiti del padrone di casa, Sidi Larbi Cherkaoui, sono stati i tunisini fratelli Thabet. L’offerta presentata dagli artisti è una riflessione che ha come cardine la connessione tra tre entità: la morte, la ragione e la follia. Come spiegano gli stessi autori, l’importante per loro è creare, con il movimento, una sinergia di impulsi che permettano un dialogo tra tre corpi, rappresentanti dei tre cardini drammaturgici. Dunque si tratta di interazione e di impulso dialogico tra corpi ma non solo; infatti, grande peso ed importanza in questo lavoro ha la musica: cinque cantanti-musicisti sufi hanno legato e colorato di sentimento la serata.
Loro sono parte integrante ed attiva dell’azione, presenze singole e spazialmente distribuite, lanciatori di impulsi, pensieri e suggestioni che trasportano lo spettatore in un’atmosfera altra, amplificatrice di qualcosa che con il solo movimento non sarebbe arrivato.
Il palco ospita una scenografia ricca: muri e impalcature cercano di sottolineare la quotidianità di un ambiente arabo trascurato in cui gli uomini attendono, interagiscono, vivono. La costruzione è sfruttata in ognuna delle sue possibilità: viene percorsa, dal pavimento al tetto, dai danzatori e dai musicisti i quali, anche se non in scena, mantengono alta l’attenzione con la voce che arriva dalle quinte.
Le sorprese di questa pièce non sono finite, la danza di uno dei tre artisti ha qualcosa di strano, di stravolgente e drammaturgicamente importante: Alì non è fisicamente supportato da due braccia e due gambe, ma da due braccia, due stampelle e una sola gamba. La disabilità di quest’uomo, estremamente sottolineata dall’impianto coreografico, risulta l’unica attrattiva del movimento. La parte iniziale, in linea con il concept, vede i corpi in contatto, che si studiano e danzano insieme su appoggi e pesi diversi da quelli normalmente utilizzati. Forse quest’idea si perde poi nel sottolineare il fatto che uno di loro è diverso.
Resta comunque strabiliante e di grande valore artistico la visione di questo corpo, dato per spacciato in qualsiasi contesto fisico odierno, che agisce stravolgendo l’abc del movimento di un danzatore qualsiasi. L’adattamento e la volontà umana hanno rilevanza emblematica in Rayahzone e permettono allo spettatore di riflettere su quanto sia importante voler bene al proprio strumento di vita.