Il libro David Cronenberg. Un metodo pericoloso, a cura di Luca Taddio, professore di Estetica presso l’università di Udine, ha il merito di analizzare, in sei saggi, A dangerous method (2011), l’ultima opera del regista canadese David Cronenberg.
A dangerous Method porta sul grande schermo un lavoro teatrale del 2002 dello sceneggiatore Christopher Hampton il quale, a sua volta, si era basato sul libro di John Kerr del 1993, Un metodo molto pericoloso. Il film narra la nascita e l’interruzione del rapporto di amicizia intellettuale tra S. Freud e C. G. Jung, attraverso la figura di S. Spielrein, ragazza affetta da una forma di schizofrenia e che divenne, dopo essere guarita, egli stessa una psicanalista.
La domanda da cui si deve partire, come afferma giustamente Federico Zecca, è la seguente: «A dangerous method è un film di Cronenberg?». Potremmo rispondere: in parte sì e in parte no. Gli elementi in comune con i film precedenti sono evidenti, a volte geniali, tuttavia, nello stesso istante, non possiamo non notare come A dangerous method si “comporti” in maniera particolare. E’ lo stesso Cronenberg ad aver apparentato il suo ultimo film con la sua pellicola più controversa: Crash (1996). Entrambi i film, infatti, come afferma Damiano Cantone, fanno emergere «un senso diverso del corpo e della sessualità» all’insegna di un nuovo possibile accesso all’interno. Se da un lato A dangerous method mantiene «la componente melò e il tema della “contaminazione”», dall’altro esso si pone come un film in costume, narrativamente trasparente, un biopic lontano dalla costitutiva dialettica cronenberghiana tra «visibile e non mostrabile».
Se molti dei film di Cronenberg sono inquadrabili sotto la possibile progettazione di un pensiero della nuova carne, un altro leit motiv, sicuramente degno di nota all’interno dell’opera del regista canadese, è quello del doppio, indagato nel saggio di Andrea Chimento e Camilla Maccaferri. Il saggio parte dall’ibridazione deformante di Shivers (1975) e di The Fly (1986), prosegue sul rapporto corpo-mente di Scanners (1981) e The Dead Zone (1983), rimanda alla fusione-divisione del reale e virtuale in Videodrome (1982) ed ExistenZ (1999) e arriva, infine, alla duplicazione dell’io, presente in M. Butterfly (1993) e A History of Violence (2005). Tuttavia, l’esempio più calzante da mettere in rapporto ad A dangerous method possiamo considerarlo Dead Ringers (1988); il film, infatti, racconta la storia di una coppia di gemelli, ginecologi famosi e vincenti, che giunge alla morte dopo l’entrata nella loro vita di Claire: un classico esempio in cui si proietta nell’Altro l’identico a se stesso. Anche in A dangerous method il cambiamento – anche se in questo caso non porta alla morte – avviene attraverso una donna: Sabine Spielrein, futura amante di Jung e considerata da Freud come quell’intellettuale che gli farà ripensare la pulsione di morte come concetto pregnante dell’intera psicanalisi. Il triangolo porterà alla nascita di una sorta di sentimento edipico di Jung nei confronti di Freud che comporterà il successivo distacco del primo nei confronti delle teorie del secondo. L’avvento di Sabine diviene il casus belli che porta i due alla rottura. Come afferma giustamente Marco Grosoli: «Sabine Spielrein, appunto, “fa angolo” tra Carl Gustav Jung e Sigmund Freud; “triangola” i due medici facendosi il perno della loro relazione, l’agente di una separazione semplicemente inevitabile, iscritta nei presupposti stessi del loro rapporto».
Un quadro sicuramente interessante. Tuttavia, come afferma Claudio Bisoni nel primo saggio «in A dangerous method la psicanalisi è evanescente. Ciò che manca è il suo corpo teorico. Forse per questo risulta anche molto meno dangerous. Non c’è psicanalisi se non, come si è detto, nella forma di un’arma per nascondere e svelare i segreti di due vite». La psicanalisi è sì metodo pericoloso perché mette a rischio non solo il paziente, ma anche il terapeuta – come si evince dalla relazione Spielrein-Jung -, ma nel film appare in una versione quasi edulcorata. Forse, è proprio questo il limite più evidente del film di cui questo libro è una delle evidenti, quanto interessanti, prime e mirate analisi.
DAVID CRONENBERG. UN METODO PERICOLOSO
a cura di Luca Taddio, Mimesis, Milano-Udine 2012