Trenta attori detenuti di lunga pena della Compagnia della Sezione G8 del C.C. di Rebibbia presentano al pubblico il loro terzo spettacolo consecutivo al Teatro Quirino di Roma, grazie al progetto In scena diversamente insieme, a cura del Teatro Quirino stesso e della Fondazione Roma Arte-Musei, in collaborazione con La Ribalta-Centro Studi Enrico Maria Salerno.
EXODUS
Ideazione e Regia Laura Andreini Salerno e Valentina Esposito
Drammaturgia Valentina Esposito
Interpreti Fabio Albanesi, Paolo Artipoli, Giuseppe Borzacchiello, Piero Proietti Caterinozzi, Christian Cavorso, Marco Dell’unto, Vincenzo Di Letizia, Giovanni D’ursi, Roberto Fiorini, Roberto Fois, Emanuele Gemito, Giacomo Gesù, Toma Iovanovic, Tommaso Marsella, Michele Minicozzi, Romolo Napolitano, Emiliano Piergallini, Giancarlo Porcacchia e con la partecipazione di Fabio Rizzuto
Costumi Paola Pischedda
Luci Raffaella Vitiello
Laboratorio scenico Enzo Grossi
Grafica Alessandro De Nino
Organizzazione Fabio Cavalli
Ufficio stampa Maya Amenduni
28 settembre 2102, Teatro Quirino, Roma
All’inizio, è un incanto beckettiano. In poche manciate di secondi, la platea si popola di visi, di corpi, di gesti indimenticabili e diventa sogno collettivo, materico, tridimensionale. In ordine sparso, senza fretta, come in attesa di un evento epocale, sfila in mezzo al pubblico una sparuta carovana di esseri universali, archetipi dell’uomo marginale, in esilio: il viandante, il musico o il mendicante, il senza fissa dimora. Personaggi alla deriva, forti solo della propria viva e inquieta corporeità, si aggirano sperduti fra le poltrone, poi salgono lentamente sul boccascena, alla rinfusa; si guardano intorno, trovano uno ad uno un varco e, a tentoni, spariscono dietro il sipario. Il palcoscenico è la prima meta di un vagabondare esitante, il luogo giusto in cui cercare un approdo di emergenza. Una meta raggiunta al contrario, parrebbe, a cui si arriva non per esibirsi, ma per riappropriarsi, al riparo da occhi indiscreti, della propria più intima essenza di creature umane.
Quando il sipario si apre, il palco è denso di fumo. Il dramma si dispiegherà poco a poco, in una sospensione del tempo in cui saranno gli attori a fare da padroni, come provetti giocolieri. La metafora, non a caso, è il circo: una sgangherata compagnia di saltimbanchi immortali, che hanno perso la loro preziosa memoria – il «libro degli esercizi» -, continua a vagare, a produrre spettacoli sempre peggiori, di fronte a un pubblico che si assottiglia miseramente. Il tempo a disposizione per prepararsi è ogni volta più breve. La durata del «permesso di soggiorno» concesso alla troupe per allestire le scene non basta più, non consente il radicamento, la presa di coscienza, la costruzione di un progetto comune. Di fronte a condizioni sempre più proibitive, c’è chi esorta a non arrendersi e chi replica invece rassegnato: «Per me, è ita!».
Un punto di arrivo non esiste. Poter tornare a casa, per sempre, è un’illusione. Il progresso del cammino è minato dall’oblio, che fa della vita un transitare in tondo, all’infinito, sempre più stretti in una spirale di decadenza. Senza memoria, non ci sono apprendimento, né esperienza, che diano un’indicazione a procedere evitando gli errori del passato. «Lo sbaglio ce lo portiamo avanti per tutta la camminata», dirà uno dei protagonisti; e un altro, sul finale: «Il passato lo devi masticare; lo ingoi, ma poi lo devi digerire».
La Compagnia della Sezione G8 di Rebibbia, con una presenza scenica totale, plasma una realtà drammatica tesa, densa, complessa. Gli attori sostengono mirabilmente e riempiono di senso, con ironia, carattere, poesia, peso umano, un testo spesso impervio e rarefatto, a volte dalla simbologia fin troppo esplicita e che sfida la capacità interpretativa con un susseguirsi di lunghe sospensioni e di ripetizioni. Ogni scena è vissuta dagli attori con un’urgenza tangibile, che non si estingue neppure inseguendo un finale che tarda ad arrivare. La regia, raffinata, può contare su un gruppo di attori che sa farsi strumento duttile nella creazione di climi e di situazioni sempre nuovi, alludendo via via, con rapidi tocchi, al Bergman de Il Settimo Sigillo, a tipi felliniani, a dialoghi pasoliniani, a maghi pirandelliani e alla pittura di Magritte e di Seurat. Un «lavoro difficile», come sottolineano giustamente Laura Andreini Salerno e Valentina Esposito presentando al pubblico lo spettacolo. Un lavoro che la Compagnia Sezione G8 di Rebibbia cura con estrema consapevolezza, professionalità e senso scenico, regalando al pubblico il raro privilegio di godere di un teatro che si fa, sul palco, realtà vissuta.