Artista: Faig Ahmed Titolo: Points of Perception Curatore: Claudio Libero Pisano Luogo: MACRO Testaccio, Piazza Orazio Giustiniani 4 10 febbraio – 29 marzo 2016
Al di fuori del contesto casalingo, la parola “tappeto” si intende spesso associata all’aggettivo “volante”. E questo perché l’oggetto è stato caricato sin dalle sue origini di una valenza fantastica, che lo rende un desiderato e rapidissimo mezzo di spostamento per ovunque si voglia andare. Attraverso le creazioni tessili, magiche e portentose dell’artista azero Faig Ahmed possiamo giungere al medesimo risultato, ma senza alcuna traslazione corporea: l’ovunque si raggiunge restando fermi perché il viaggio abita la mente e lo sguardo di chi osserva. Faig Ahmed, classe 1982, vanta in Italia già due partecipazioni alla Biennale di Venezia (2007 e 2013); una personale alla galleria romana Montoro12 (2015); e ora un’intera mostra al museo MACRO Testaccio di Roma, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, dall’Ambasciata della Repubblica dell’Azerbaijan in Italia e realizzata in collaborazione con Montoro12 Contemporary Art. Oltre ai carpet works che lo hanno reso famoso al grande pubblico – ovvero i suoi tappeti tessuti a mano in maniera tradizionale, ma rinnovati secondo un’estetica contemporanea – Ahmed propone in questa sua personale al MACRO video e lavori più concettualmente complessi, distinguendosi rispetto alle precedenti esposizioni per una completezza e una maturità differente, declinate qui in un iter estetico che trova il suo apice nella monumentale installazione “Wave”.
Il pavimento di una possibile moschea – ricreato attraverso un unico grande tappeto che si estende per una considerevole lunghezza all’interno dello spazio espositivo – raccorda insieme la tradizione religiosa e quella artistica in un crescendo estetico che si concretizza nella grande onda, il cui disegno, man mano che essa “si increspa”, viene deframmentizzato nei suoi elementi strutturali. Come a voler significare che la tradizione, scardinata nei suoi assetti fondativi, può trasformarsi in qualcosa di nuovo, assolutamente travolgente. Ma facciamo un passo indietro. Tutto è cominciato con un semplice filo, tirato, tessuto, lavorato fino a trarne un’opera, che sotto le sembianze di tappeti stravolti nel loro assetto tradizionale e riconfigurati secondo un linguaggio contemporaneo ai limiti del possibile, diviene arte. Quello che per secoli è stato considerato un ornamento – il tappeto appunto – sebbene derivi da un contesto culturale ben definito come quello azero, radicato nella tradizione geometrica delle forme, diviene nelle opere di Faig Ahmed oggetto e medium artistico per affermare l’atemporalità e l’universalità dell’arte. All’inizio nella storia azera l’ornamento ebbe un significato unicamente allegorico, ma in seguito i simboli con cui si leggeva la natura e si rappresentava la vita divennero sempre più espressione estetica, e l’ornamento maggiormente decorativo e non più esclusivamente linguistico. Si passò, dunque, dal linguaggio simbolico dei segni al linguaggio artistico vero e proprio. Gli studi sull’ornamentazione, e più in generale sulle arti decorative, hanno ispirato negli anni molti degli artisti azeri odierni, i quali connettono tecniche tradizionali e arte concettuale nell’ottica di una continuità estetica rinnovata. Preservare il passato per costruire il futuro attraverso una visione contemporanea, esattamente come fa Faig Ahmed. Ed ecco allora tappeti che gocciolano colore, che si sciolgono o che si rigonfiano proprio sotto i nostri occhi, che sembrano sfidare le leggi della fisica. Quelle che ci mostra Ahmed sono possibilità, nuovi modi per avere sguardi differenti sull’arte: points of perception appunto.
In quest’occasione il lavoro di Ahmed si lega anche alle pratiche mistiche del Sufismo. Costruire e decostruire, superando le certezze acquisite poiché nell’apparente immobilità tutto muta in una costante ricerca della verità. Liberarsi dal dualismo della materia per intraprendere un cammino spirituale che trova nell’arte il proprio viatico capace di comunicare sempre nuovi messaggi al di là della tradizione, delle convinzioni e dei confini. Faig Ahmed non fa altro che condividere con ognuno di noi questo equilibrio interiore in costante ricerca di baricentro, così come espresso nell’emblematica opera “Limits”, costituita da un particolare carpet work – coperto in parte da chiodi – e da un video che ne racconta il senso profondo. L’artista qui tenta faticosamente di camminare con dei pezzi di carne legati ai piedi lungo un percorso di chiodi disposti in cerchio sulla superficie del tappeto, sporcandolo di sangue. Ciò che per secoli ha rappresentato una superficie facilmente calpestabile, diviene qui un oggetto su cui risulta pericoloso e quasi impossibile poter camminare. Le difficoltà sono proprio lì dove sono anche i nostri passi, perché ogni percorso include sempre un sacrificio da parte di colui che lo intraprende. Nonostante ciò, al centro dell’opera, il tappeto si risolve nella bellezza del disegno, in un metaforico prato fiorito, in un’immagine di serenità che sembra stridere col contesto che la circonda. Il cerchio – che segna la forma di “Limits” e del tracciato di chiodi al suo interno – è universalmente simbolo di unità, di perfezione, di accordo tra ciò che è terreno e ciò che è divino, dell’andamento dei pianeti, del sole, del cosmo. L’universale è espresso attraverso questa simbologia geometrica che non ha né un inizio né una fine, tutto sembra immutabile ma al contempo costantemente rinnovato. In questo ciclo continuo, anche l’io individuale trova un punto di fusione col tutto al di fuori di se stesso e della propria coscienza. E a rendere possibile quest’immersione mistica è proprio l’arte.
E ritorniamo ai fili tirati su di una parete, che segnano un tracciato verso punti indefiniti, e accolgono il visitatore all’inizio di questo denso percorso intriso di filosofia sufi. Il filo di lana simboleggia la stessa trama dell’arte che dall’antichità non ha mai smesso di essere tessuta. Essa attraverso un continuo dialogo tra passato e presente, tra pratiche tradizionali e un’estetica trasformata e rinnovata, diviene medium universale capace di parlare lingue sempre nuove. Faig Ahmed attraverso la sua opera racconta intelligentemente come l’arte vada sperimentata e condivisa: soltanto così essa potrà vivere e rigenerarsi ad infinitum secondo quell’andamento circolare, che non ha né inizio né fine.