Al Piccolo Eliseo, va in scena l’ultimo lavoro drammaturgico di Fausto Paravidino. Un’indagine sulle cause che provocano lo strappo sentimentale nella relazione uomo-donna.
Exit
Con: Sara Bertelá, Nicola Pannelli, Angelica Leo, Davide Lorino
Scene: Laura Benzi
Costumi: Sandra Cardini
Luci: Lorenzo Carlucci
Musiche: Giorgio Mirto
Testo e regia: Fausto Paravidino
Produzione: Teatro Stabile di Bolzano
Dal 5 al 24 febbraio 2013 – Teatro Piccolo Eliseo, Roma
L’impianto registico è la commedia classica, italiana: leggerezza, gioco degli equivoci, battute veloci e chiare. La recitazione è disinvolta e scorrevole. La scenografia è semplice, pulita, fatta di cartelli luminosi che entrano ed escono dalla scena seguendo la geografia dei luoghi frequentati dagli interpreti. Tutto è molto colorato. I temi però sono scritti con delicatezza e sensibilità, sono sfumati e fuori fuoco.
«Le cose non sono mai semplici come minacciano di essere».
Quando una relazione finisce? Perché finisce? Uscirne e, soprattutto, come uscirne? Comprendere cosa c’è che non va è fondamentale per fare andare le cose. Essere una bella persona non basta. La relazione di coppia diventa, dopo qualche anno, un continuo rimpallo di colpe, un elenco estenuante di giustificazioni. E’ colpa della politica, del sesso dell’avere o non avere figli, della gelosia? Cos’è quella cosa che viene a mancare?
La vita diventa una continua ricerca di piccole distrazioni quotidiane. Sviamenti, elusioni, e menzogne che generano imbarazzi sempre più insopportabili. Ci si abitua a non avere, a non essere. Nascono invidie e giudizi nei confronti persino degli amici. Ci si dimentica dei compleanni, anzi, si ha la certezza della défaillance sugli auguri. Quando arriva, il regalo, casca il mondo: calzini a righe. A volte la fine assume connotati grotteschi. Un oggetto, un odore, diventano più significanti di quel che sono in realtà, diventando simbolo dell’incomprensione. Bisogna decidere se uscire o rientrare nella relazione, bisogna «decidere tra l’odio e lo strazio». Si esce.
E’ rapidissimo e quasi impalpabile ma c’è sempre un momento in cui la decisione è revocabile.
Tuttavia pare che gli uomini «cerchino di essere uomini scappando il più velocemente possibile». Inizia il mondo dei reduci. Di chi esce dalle relazioni o, come per la maggior parte della natura maschile, di chi vuole essere uscito, col permesso della donna. Comunque, se esci, qualcuno entra: entrano in scena un secondo uomo e una seconda donna. Ma anche in questi nuovi rapporti non si riesce mai a essere completamente liberi. Si vive nel timore di non essere compresi, accettati o, peggio, rifiutati. Le parole invadono l’area dei sentimenti, le chiacchiere sono infinite ed estenuanti. Vengono tirate su montagne di questioni di principio per nascondere la paura di amare. La mancanza di autocontrollo è la regola. Questi reduci non sono sfigati, sono dei borderline delle emozioni, dell’età e dell’esperienza. Pieni di sensi di colpa. Interessante, a livello scenico, lo sfiorarsi delle due donne: messe in panchina, in attesa, come in una partita giocata su due tempi. Non funziona la prima? Entri la sostituta! Comunque serve sempre il permesso dell’allenatore. Di se stessi verso se stessi.
Da dove prendiamo tutte queste sovrastrutture, questi ostacoli alla libertà dei sentimenti? Qual è la fonte di queste molteplici difese che non abbiamo quando leggiamo o quando ascoltiamo la musica? Forse che «mostrare il meglio subito» ci getta addosso l’ansia di non sapere dopo cosa resta?
Forse continua ad esserci il meglio. Se resta.
Forse non bisogna sentirsi di dovere sentimenti al prossimo ma fidarsi e basta.
Forse è necessario rispettare se stessi e non dimorare nell’attesa del rispetto altrui.
Forse stare bene insieme è anche, semplicemente, stare bene insieme.
Forse.
Comunque in libreria vendono i manuali per cambiare vita. In dieci mosse.