di Francesca Manieri e Federica Rosellini regia Federica Rosellini con Elvira Berarducci, Giacomo Citton, Arianna del Grosso, Paolo Ghedina, Isabella Lasagna, Mariapia Scattareggia, Sabiha Simionato Disegno luci Angeles Parriniello Costumi Sabiha Simionato Elementi di scena Fabio Ceolin 28 Maggio 2015, Teatro dell’Orologio – ALL IN FESTIVAL, Roma
Prima tappa di una trilogia ispirata a tre figure di artiste delle quali vita e opera si fondono, POLKA DOTS di Federica Rosellini e Federica Manieri, mostra un’elaborazione essenzialmente visiva e astratta della biografia della fotografa americana Francesca Woodman.
Attuando un procedimento quasi allegorico, i giovanissimi interpreti che personificano la Woodman si muovono nello spazio scenico come figure fantasma in pose e posture continuamente discusse nella loro immediata ripetizione e riscrittura; figure moltiplicantisi e coesistenti fanno rivivere l’artista attraverso i suoi scatti, nel corso di una serie di scene o “tappe” che partono da un punto, un polka dot, per arrivare a una caduta, dopo un salto, come stupefacente atto etico.
Il lanciarsi dall’alto di un edificio, dopo essersi avvolta nel cellophane e indossando un vestito a pois – “Il volto era irriconoscibile, la identificarono dai vestiti” –, si trasfigura in gesto artistico in qualità della sua pre-documentazione (come mostrato nel documentario del 2011 “The Woodmans“) ed elaborazione quale extrema ratio esistenziale. L’artista decide di togliersi la vita in tal modo nel 1981 a soli ventidue anni per preservare la propria persona e le proprie opere e non farsi divorare come merce; forse il suo auto-emballage finale svela come non sia possibile non diventare prodotto e come per impedirlo si debba o sacrificare la propria vita o mascherarsi fingendosi qualcun’altro.
Optando per la prima scelta, la più onesta e radicale, l’artista non si maschera rifuggendo da sé stessa: salta oltre tutte le barriere e protezioni, come in vita nelle sue fotografie; ed è per questo che nel POLKA DOTS di Rosellini i corpi-figura che rappresentano la Woodman sono a volto scoperto e “nudi” di fronte agli spettatori, mentre gli interpreti che impersonano il padre e la madre dell’artista sono inizialmente mascherati, l’uno con una maschera da bue e l’altra con i capelli sul volto.
Nella terza sequenza scenica, la coppia si dilunga in una circolare processione funebre: durante la quale il padre/Lorenzo Ghedina declama il De profundis reiteratamente; durante tale celebrazione rituale il fantasma della Woodman si ripresenta in istantanee ossessive, fugaci apparizioni che si perdono nel buio come scintillii, in un crescendo visivo che si conclude con una scena da pic-nic bucolico in cui i performers, raccolti attorno al padre ad intonare “fottuti di malinconia” Firenze canzone triste di Graziani, hanno i volti dipinti di blu con un rigolo di pittura rossa che scorre dal naso a rappresentare il corpo ferito. Dopo questo quadro corale, ispirato a uno dei numerosi periodi trascorsi dalla Woodman in Italia, la rappresentazione termina con la madre nuda su una sedia, a simboleggiare l’aver preso “cannibalisticamente” il posto della figlia dopo la sua morte.
Un evento scenico dove risulta centrale il corpo quale dato materico nel suo cadere, immobilizzarsi e rialzarsi, saltare e rallentare le movenze; esperimento ben riuscito grazie alla precisione nei movimenti e alla concentrazione dei giovanissimi interpreti, tra i quali spiccano Maria Pia Scattareggia, anche per la somiglianza con la fotografa, e Giacomo Citton, il quale rappresenta la figura androgina, presente nuovamente nello spettacolo della Rosellini, che conferma l’intelligenza dello spingersi oltre i confini gender.
Gli oggetti-feticcio della Woodman – buste della spesa, mollette, sedie – assumono valore indicale, come i polka dots del titolo, resi scenicamente con delle sfere di ferro interagenti con i performers nel loro tentativo di contrastare concettualmente il salto, zavorre che trattengono il movimento ascensionale pre-caduta. Il disegno luci è di estrema cura e funzionale al ritmo drammaturgico che avanza per “stacchi”, influenzato dall’occhio filmico della Manieri. Tra intuizioni visive che rendono espressivo un teatro intimista e mentale, sapiente uso dello spazio scenico e motivazione interiore autentica e determinazione, POLKA DOTS è un melanconico ritratto (e autoritratto) autoriale, un’ossessione traslucida in bianco e nero che diventa manìa, prima tappa di un progetto che porta avanti una poetica chiara e urgente nella sua esternazione.