Mercoledì 12 marzo è stato presentato al Nuovo Cinema Aquila il documentario Felice chi è diverso di Gianni Amelio. Una serie di personaggi in età avanzata raccontano il modo in cui nascondevano o manifestavano la propria omosessualità durante la propria infanzia. Infanzia che per molti di loro risale agli anni del fascismo o poco dopo.
Felice chi è diverso, di Gianni Amelio, Italia 2014, 93′
Soggetto: Gianni Amelio
Sceneggiatura: Gianni Amelio
Fotografia: Luan Amelio
Montaggio: Cecilia Pagliarani
Produzione: Cinecittà Luce, Rai Cinema, Rai Trade
Distribuzione: Cinecittà Luce
Cast: Giorgio Bongiovanni, Nicola Calì, Francesco Cocola, Pieralberto Marchesini, Roberto Pagliero, Claudio Mori, Alba Montori, Aldo Sebastiani, Corrado Levi, Ciro Cascina, Agostino Raff, Ninetto Davoli, John Francis Lane, Fernando Nigro, Mosè Battazzi, Paolo Poli, Lucy Salani, Roberto David, Glauco Bettera, Aron Sanseverino
Sandro Penna, Ciro Cascina, John Francis Lane: sono solo alcuni dei tanti nomi che nel film parlano di come vivono e hanno vissuto la propria omosessualità. Ognuno confessa i modi di vivere, la gente che frequentava e persino le reazioni delle persone a loro care alle quali confessavano per la prima volta il loro orientamento sessuale. Tutti loro raccontano di quanto fosse difficile allora, più di oggi, convivere con l’omosessualità: alcuni sono stati cacciati di casa, altri hanno messo su famiglia e hanno condiviso il resto della loro vita con la rispettiva metà. Alle loro testimonianze si alternano immagini di repertorio realizzate dall’istituto luce: l’esaltazione fascista della virilità dell’uomo “giovane e audace” e la censura del tema dell’omosessualità si intersecano con il racconto di alcuni intervistati di famiglia fascista che raccontano il rifiuto dei propri padri dopo il loro outing. Altre immagini di repertorio mostrano con un tono quasi divertente e grottesco che esistevano dei veri e propri centri di recupero per gli “invertiti”: i ragazzi venivano portati per un periodo all’interno di una clinica composta da un personale esclusivamente femminile che aveva l’obiettivo di riportare i ragazzi all’eterosessualità. Il filmato, accompagnato da una voce fuori campo, ironizza su come questo trattamento abbia avuto scarsi risultati. Ancora, altre immagini di repertorio mostrano uno dei personaggi la cui omosessualità è stata la causa di una messinscena per nascondere il vero motivo della sua morte: Pierpaolo Pasolini, il cui filmato racconta del suo approdo al cinema agli albori degli anni ’60 e che nella sua vita non ha mai nascosto il proprio orientamento sessuale.
Gianni Amelio adotta il tipico linguaggio da documentario: interviste statiche su cavalletto si alternano a momenti di vita quotidiani dei vari personaggi, spesso ripresi nelle proprie case. L’intento del regista, come da lui dichiarato, è di creare “un film per famiglie”, in cui l’omosessualità è raccontata in maniera oggettivamente aperta e mai volgare. Il modo con cui è affrontata la tematica inoltre ha come obiettivo quello di raccontare l’omofobia, aspetto che oggi imperversa ancora più dell’omosessualità.
«Vorrei che questo fosse l’ultimo documentario che parli di questo tema», queste le parole del regista, parole che auspicano a un’apertura di mente da parte della popolazione verso una completa tolleranza nei confronti dell’omosessualità. Ma nel finale nulla sembra cambiare: anche se sono passati molti anni rispetto all’infanzia dei personaggi, il film non accenna ad una concreta soluzione e risoluzione del racconto. Seppur aperto a tutti per la delicatezza con cui Amelio affronta il tema, il film racconta la vita di troppi personaggi rischiando di cadere in una confusione generale, penalizzato forse dalla durata eccessiva per un film documentario.