Auditorium Parco della Musica, RomaUpper-East-Side coreografia Michele Di Stefano musica Lorenzo Bianchi Hoesch luci Carlo Cerri interpreti Saul Daniele Ardillo, Hektor Buddla, Alessandro Calvani, Marietta Kro, Ivana Mastroviti, Riccardo Occhilupo, Roberto Tedesco, Serena Vinzio, Chiara Viscido e-ink coreografia, luci, costumi Michele Di Stefano musica Paolo Sinigaglia interpreti Damiano Artale, Philippe Kratz realizzazione costumi sartoria Aterballetto/Francesca Messori produzione mk, Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto, Fabbrica Europa riallestimento 2015 a cura di Biagio Caravano e Michele Di Stefano L’eco dell’acqua coreografia e ideazione scene Philippe Kratz musiche Federico Albanese, Jonny Greenwood, Howling, Arvo Pärt, Sufjan Stevens, The Haxan Cloak sound design OOOPStudio costumi Costanza Maramotti e Philippe Kratz luci Carlo Cerri interpreti Noemi Arcangeliq, Saul Daniel Ardillo, Damiano Artale, Ana Boigorri, Hektor Budlla, Alessandro Calvani, Martina Forioso, Johanna Hwang, Marietta Kro, Valerio Longo, Ivana Mastroviti, Riccardo Occhilupo, Giulio Pighini, Roberto Tedesco, Lucia Vergnano, Serena Vinzio, Chiara Viscido 9 febbraio 2016, Equilibrio – Festival della Nuova Danza,
Ospite della serata d’apertura della dodicesima edizione del festival romano dedicato alla nuova danza, Equilibrio, è stata la compagnia Aterballetto, una della realtà più importanti a livello nazionale ed internazionale.
Le tre creazioni presentate per l’occasione riflettono l’identità artistica della compagnia, fra lo sviluppo coreografico e il linguaggio della danza intesa contemporaneamente come reazione dinamica e dialettica alla musica.
Upper-East-Side – coreografia di Michele Di Stefano – è uno studio sulla partitura di tipo “matematico”, intesa come segno che ha un inizio, uno sviluppo ed una conclusione, e su come questa, spostandosi nello spazio scenico, crei punti e linee, perdendo di seguito senso nella sua continua ripetizione, lo studio mostra anche le conseguenze che la partitura scatena durante la sua riproduzione. La ricerca passa attraverso i corpi dei danzatori ed è dedita alla precisione formale, fattore che – forse per il tema trattato – la rende didascalica e fredda nell’interpretazione attraverso corpi prestanti ma espressivamente asettici. La musica scalpita ed è ritmicamente ossessiva. Il connubio fra musica e danza crea una dialettica disturbante, che sviluppa un tema forse non troppo originale – fattore bizzarro, considerato il contesto in cui viene rappresentato. Il palcoscenico trasfigura in una sorta di foglio bianco su cui si tracciano linee invisibili di flussi coreutici, che si intercettano spesso con le dinamiche di altri flussi: le interazioni non sono però realmente di relazione, appaiono piuttosto vuote e senza senso.
Il secondo pezzo, e-ink – anch’esso firmato Di Stefano –, risulta originale, seppur sia un riallestimento di una produzione datata 1999 di mk. In scena un dialogo a due corpi – Damiano Artale e Philippe Kratz –, che riproduce un movimento onomatopeico, allineato perfettamente alla ricerca sonora e agli appuntamenti acustici suggeriti. L’interpretazione giocosa e buffa non è incentrata su una perfezione di tipo formale, si potrebbe asserire infatti che la ricerca sia più in una direzione espressiva del corpo. L’efficacia della realizzazione è dovuta alle partiture comuni, tradotte in maniera differente dalle due corporeità degli interpreti. Costellata di segni che rispondono ad una logica ritmica sempre differente, la coreografia trascende la scrittura coreografia e si erge a bizzarra poesia nello spazio.
A conclusione un lavoro ideato da Philippe Kratz, ispirato ad una lirica di Goethe. Sul fondo una cascata di tessuto scura, che vibra dei movimenti e catturando i danzatori in vortici, fra volteggi e sospensioni, come una oscura forza capace di attuare il cambiamento. Partendo da una riflessione inerente la precarietà dell’essere umano, che con la sua anima si trasforma come fosse acqua, mentre il vento impetuoso del destino lo trascina verso ostacoli che ancora non conosce, quest’ultimo è sicuramente fra i tre lavori quello con un tema più poetico. L’uso scenografico della luce è intrigante, nella sua creazione di luci ed ombre, attraverso le quali si percepiscono le figure degli interpreti, trasfigurati a presenze anonime che baccagliano costantemente, invocando la stabilità nel disequilibrio costante dell’esistenza. Le gestualità rispecchiano questo senso di incombente precarietà, accompagnate da un turbinio musicale vario ed eterogeneo.
A summa di quanto detto, forse non un inizio accattivante per il festival di danza più famoso della capitale.
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